Ucraina, bombe sugli Europei

Quattro bombe sono esplose per strada a Dnepropetrovsk, un grosso centro industriale. Le divisioni del Paese e il "caso Tymoshenko" alla ribalta alla vigilia degli Europei di calcio.

27/04/2012
Una grande manifestazione, a Kiev, in favore della Tymoshenko (foto del servizio: Reuters).
Una grande manifestazione, a Kiev, in favore della Tymoshenko (foto del servizio: Reuters).

Trovare un senso agli attentati che hanno scosso Dnepropetrovsk e hanno provocato una trentina di feriti, tra i quali molti bambini, allo stato dei fatti è un’impresa impossibile. In mancanza di tracce e persino di indizi, tutte le tesi hanno dignità e tutte le ipotesi sembrano plausibili.


Il Governo dice che si tratta di terroristi, l’opposizione che le bombe sono state fatte esplodere dallo stesso Governo, per distogliere l’attenzione dallo “scandalo Tymoshenko”, l’ex pasionaria della Rivoluzione Arancione ed ex premier finita in carcere dopo un processo sommario. La bionda Julija ha denunciato di essere stata aggredita in carcere e ha iniziato uno sciopero della fame, il che ha scatenato la protesta dei suoi sostenitori che da giorni occupano il Parlamento, a Kiev, con l’appoggio di una quarantina di deputati.

Entrambe le tesi, però, paiono fragili, se non proprio insostenibili. Quale Governo, per distogliere i riflettori dalla Tymoshenko, attirerebbe l’attenzione del mondo sul fatto che l’Ucraina, alla vigilia dei campionati Europei di calcio (in programma dall’8 giugno al 1 luglio in condominio con la Polonia), è un Paese dove possono esplodere bombe per strada? D’altra parte, di quali terroristi parla il Governo? Quali nemici internazionali può avere, oggi, l’Ucraina?

Non ci aiutano nemmeno ulteriori considerazioni “ambientali”. Dnepropetrovsk è un grosso centro della zona Est dell’Ucraina, quella dove più numerosi sono i cittadini di origine russa, quindi quella più filo-russa. La regione che più massicciamente ha votato, alle elezioni presidenziali del 2010, per quel Viktor Janukovic che ora parla di terroristi.

Dnepropetrovsk, d’altra parte, è anche la città in cui nel 1960 nacque proprio la Tymoshenko, che in quel grosso centro industriale fece gli studi in Ingegneria e compì i primi passi di una carriera folgorante, prima nell’industria di Stato e poi in politica.


Il luogo in cui, a Dnepropetrovsk, è esplosa una delle quattro bombe.
Il luogo in cui, a Dnepropetrovsk, è esplosa una delle quattro bombe.

Le autorità garantiscono indagini serrate e rapide risposte, una promessa che difficilmente potranno mantenere: nulla si è saputo, per esempio, della bomba che, nel novembre 2011, nella stessa Dnepropetrovsk, uccise un uomo d'affari. Un delitto della mafia o un primo segnale di attività terroristiche?

Alla fin fine, le tensioni che scuotono l’Ucraina, sia quelle che restano confinate allo scontro politico sia quelle che invadono la cronaca criminale, hanno tutte un’unica origine: la profonda e radicata divisione del Paese. A Ovest l’agricoltura, il turismo e i servizi, l’aspirazione a legarsi all’Europa e agli Usa, la passione per la lingua ucraina e per l’indipendenza; a Est l’industria pesante e le miniere, il cordone ombelicale con la Russia, una forte quota di popolazione russofona. 

Tradotta in politica, questa storica incrinatura ha portato a fasi alterne, dopo la fine dell’Urss, una tendenza ad affrancarsi dalla sudditanza verso la Russia (esasperata fino alle soglie del conflitto) alternata al suo esatto opposto, un’alleanza con la Russia portata alle soglie della sudditanza. 

La Tymoshenko, eroina della cosiddetta Rivoluzione Arancione, ha interpretato benissimo la prima tendenza. Al netto delle divisioni interne e degli scandali, però, il suo periodo al potere ha mostrato che “contro” la Russia (a cui l’Ucraina deve il 95% dei rifornimenti di gas e petrolio e il 25% dello scambio commerciale) è difficilissimo governare l’Ucraina. Mentre Janukovic, interprete della seconda tendenza, sta mostrando che altrettanto complicato è governare l’Ucraina contro quegli ucraini che, nel ricordo dell’Urss e nell’orgoglio per la propria identità nazionale, di Russia non vogliono sentir parlare.

Nell’ardua conciliazione di questi due opposti giace, purtroppo, il futuro del Paese. E infatti il presente, come si vede, resta piuttosto travagliato.

Fulvio Scaglione
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