20/04/2013
L'annuncio del'arresto di Dzhokar Tsarnaev.
“L’ hanno preso vivo!” Alle 8:45 di ieri sera la notizia
dell’arresto di Dzhokar
Tsarnaev, il 19 enne di origine cecena, sospettato di essere uno dei due autori
dell’attentato alla maratona di Boston, rimbalza immediatamente su tutti
i network televisivi, le stazioni radio, i social network, i siti web: per
Boston, e per l’America intera, collegata in diretta, è la fine di un incubo. L’arresto ha concluso una gigantesca caccia all’uomo, in
corso dalla notte di giovedì, quando verso le due, l’altro presunto terrorista,
il fratello maggiore Tamerlan di 26 anni era rimasto ucciso nel sobborgo di
Watertown dopo un violento scontro a fuoco con la polizia.
Tutto era cominciato nel campus dell’MIT (Massachusetts
Institute of Technology) nella vicina Cambridge dove i due, già indiziati per
aver ucciso tre persone e ferito altre 170 nel peggiore atto terroristico dopo
l’11 settembre sul suolo americano, avevano commesso un altro crimine
altrettanto insensato: l’omicidio di un agente di polizia assegnato alla
sicurezza dell’università e il ferimento di un autista della metropolitana.
Poi l’inseguimento, e la sparatoria - raccontata in diretta
TV da uno dei network locali – che ha squarciato il silenzio notturno del
pacifico sobborgo con raffiche di mitra (oltre 200 bossoli sono stati rinvenuti
nella zona) e addirittura esplosioni di granate, risultata nella morte di
Tamerlan, il maggiore dei due fratelli dinamitardi.
Ma Dzhokar,
il minore è riuscito a fuggire e a rimanere nascosto nello stesso sobborgo per
altre 18 ore, fino alle 8:45 del giorno seguente appunto, quando dopo un altro
scontro a fuoco – stavolta non mortale – è stato stanato dalla barca
parcheggiata nel giardino di una villetta in cui si era rifugiato probabilmente
per l’intera giornata. Il
migliore epilogo possibile, in cui, dopo un giorno di surreale coprifuoco che
ha coinvolto l’intera città, pochi ormai speravano più. Di fatto, tutto durante
la giornata lasciava presagire il contrario: almeno a giudicare dall’enorme spiegamento
di forze locali, statali e federali, e dalle precauzioni messe in campo per
impedire che il fuggitivo non solo uscisse dal perimetro e facesse perdere le
tracce ma che, nell’ipotesi più probabile e temuta, fosse in possesso di materiale o ordigni
esplosivi e pianificasse per se – e chissà per quante altre vittime innocenti -
una fine spettacolare ed eclatante.
Per
fortuna niente di tutto questo: l’arresto e avvenuto senza spargere altro
sangue – se non quello dell’arrestato (non è chiaro se ferito nella guerriglia
suburbana della sera prima, o nell’ultima breve sparatoria prima della
cattura). A quel punto la gente di Watertown, chiusa in casa fin dalla mattina
per ordine delle autorità, si è riversata in strada con le bandiere americane
ad applaudire i poliziotti e gli agenti speciali che dopo un giorno intero di
appostamenti e perquisizioni porta a porta smantellavano i blocchi stradali e
lasciavano la zona per andarsi a godere un po’ di meritato riposo. E
finalmente anche Boston, il cui sospiro di sollievo collettivo stasera è quasi
palpabile, si prepara a trascorrere la sua notte più tranquilla da lunedì
scorso. Eppure anche tra i cori da stadio che scandiscono “U-S-A, U-S-A” e le dichiarazioni pubbliche
di soddisfazione di sindaco, governatore e capo della polizia, è chiaro a tutti
che il proverbio “tutto è bene ciò che finisce bene” (identico anche in
inglese) proprio non si applica alla conclusione, per quanto incruenta, di
questa settimana di angoscia collettiva.
Rimangono
4 morti, i 3 della maratona più il poliziotto 26enne di ieri, (al bilancio si aggiunge in realtà anche il primo
attentatore - sebbene, comprensibilmente non faccia pena a nessuno), ricordati
per nome, uno per uno, anche dal presidente Barack Obama, nel discorso alla
nazione tenuto un’ora dopo l’arresto.
Nell’occasione, Obama ha ringraziato le forze dell’ordine per l’ottimo
lavoro svolto e sottolineato quanto sbagliato e controproducente sia in questi
casi , sull’onda della rabbia e del dolore, cedere a generalizzazioni etniche e
religiose.
Rimangono
i feriti – una sessantina ancora ricoverati negli ospedali – tra i quali quelli
mutilati per sempre, dopo l’amputazione di uno o entrambi gli arti inferiori. Rimangono
gli interrogativi su chi siano veramente i fratelli Tsarnaev, se siano lupi
solitari o, al contrario, esecutori in forza ad organizzazioni più complesse e
strutturate, e sul perché’ due ragazzi residenti in America da anni e, secondo
le tante testimonianze raccolte oggi, apparentemente integrati nella società,
abbiano deciso di compiere un atto di tale indiscriminata violenza e cattiveria
; in questo senso, il fatto che uno di loro sia sorprendentemente sopravvissuto
aiuterà forse a fornire risposte.
Ma
soprattutto rimangono le immagini e il ricordo di una città trasformata in 15
secondi (il tempo intercorso tra le due esplosioni) da una delle metropoli più
belle, internazionali, accoglienti e tranquille degli Stati Uniti
nell’epicentro di una delle vicende più angoscianti della storia americana, recente
e non. Un crescendo surreale di transenne, autoblinde, squadre speciali,
coprifuoco, sparatorie tutto raccontato in diretta dalle TV che hanno
praticamente trasferito qui l’intero staff giornalistico - nonostante nel frattempo l’esplosione di una
fabbrica di fertilizzanti in Texas abbia causato molti più morti e almeno
altrettanti feriti (anch’essi ricordati
brevemente – e giustamente - nel discorso di Obama).
Ma
il terrorismo, per forza di cose, fa più notizia della fatalità. Anche perché’
al dolore, e alla paura che un'altra disgrazia simile possa succedere di nuovo,
aggiunge un senso di incertezza e profondo disagio nel sapere non solo che
nessun luogo è sicuro ma che il diavolo potrebbe essere addirittura il tuo
vicino di casa – come hanno dichiarato molti dei residenti evacuati nella zona
attorno all’abitazione dei Tsarnaev a Cambridge
circondata per tutto il giorno dagli artificieri nel timore che contenesse
ordigni inesplosi.
“Questa
città è forte, si rialzerà e tornerà a correre più veloce di prima,” aveva
detto Obama in cattedrale giovedì scorso al termine della commemorazione per le
vittime dell’attentato. Speriamo abbia ragione. Per ora i Bostoniani vanno a
letto, con la consapevolezza, da un lato che non verranno svegliati da altri
spari, altre esplosioni o altre “breaking news”, ma dall’altro che le immagini
di questa settimana dell’orrore continueranno a lungo a turbar loro il sonno
.
Stefano Salimbeni