Brasile in fiamme: Rio come Istanbul

La protesta turca ha contagiato il Paese sudamericano: i giovani brasiliani sono scesi in strada per protestare contro il rincaro dei trasporti pubblici e i costi del Mondiale.

19/06/2013
Manifestanti a Belo Horizonte, in Brasile (Reuters).
Manifestanti a Belo Horizonte, in Brasile (Reuters).

Da piazza Taksim di Istanbul alle strade di San Paolo e Rio de Janeiro. Il vento della contestazione soffia da un continente all'altro, come per un effetto domino oltreoceanico. Basta poco - si fa per dire - per far scoccare la scintilla: in Turchia il progetto urbanistico del Governo di costruire un centro commerciale a Gezi park, l'ultimo polmone verde di Istanbul. In Brasile il rincaro del costo dei trasporti pubblici. Rio de Janeiro si sta preparando ad accogliere, tra un mese, i giovani da tutto il mondo - fra i quali tantissimi italiani - per la Giornata mondiale della gioventù. Ma intanto il Brasile - caso raro nella sua storia - si infiamma di manifestazioni e proteste.

Ormai da giorni nelle strade e nelle piazze di San Paolo, Rio, Brasilia, Belo Horizonte, Fortaleza, Salvador e altre città del gigante sudamericano si sono riversate circa 250mila manifestanti, soprattutto giovani e studenti. L'aumento del prezzo dei mezzi di trasporto è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Venti centesimi di reais in più: una forma di esasperazione per la popolazione di un Paese dove il trasporto locale è già carissimo rispetto al reddito medio dei brasiliani: a San Paolo, megalopoli dal traffico ingestibile, su 11 milioni di abitanti viaggiano in autobus circa 4 milioni e mezzo di persone ogni giorno. Un biglietto semplice costa 3,20 reales, 1,10 euro; per chi fa il pendolare sei giorni a settimana, la spesa può arrivare a 200 reais, a fronte di un salario medio di 678 reais (237 euro), e per un servizio di trasporto, tra l'altro, molto carente.

Ma dai trasporti le proteste si sono allargate ad altre denunce: i manifestanti gridano contro le spese giudicate eccessive sostenute per organizzare il Mondiale di calcio del 2014 a Rio (dove si ora sta disputando la Confederations Cup). Il movimento di protesta contro il Mondiale Copa pra quem (Coppa per chi?) accusa il Governo di avere sfrattato migliaia di famiglie per far posto a parcheggi e strutture che ospiteranno i tifosi provenienti da tutto il mondo. Tutto questo in un momento in cui l'economia del Paese più grande del Sudamerica vive una flessione e i consensi verso la presidente Dilma Rousseff sono in discesa. 

I bambini del programma sociale di basket del quartiere Cruzada Saõ Sebastiaõ, a Rio, con Wagner Da Silva (in prima fila, a destra).
I bambini del programma sociale di basket del quartiere Cruzada Saõ Sebastiaõ, a Rio, con Wagner Da Silva (in prima fila, a destra).

«Non è per i 20 centesimi in più. Siamo stufi! Stufi della corruzione. Il Governo dice che non ci sono soldi, per le scuole, gli ospedali... Ma poi, ecco che arriva il Mondiale in Brasile e il Governo spende tantissimo per uno stadio nuovo. Allora, cosa significa tutto questo?». L'esasperazione di Wagner Da Silva, 33enne di Rio, riflette quella degli attivisti che, come lui, sono scesi in strada. «Non ne possiamo più. Ci siamo stancati di starcene chiusi in casa a guardare passivamente tutto quello che il Governo combina. Ci siamo svegliati per cambiare il Brasile!».

Wagner è un giocatore di pallacanestro, studia Educazione fisica e da anni porta avanti un programma sociale nel suo quartiere, Leblon, zona Sud di Rio: insegna ai bambini a giocare a basket come mezzo per educarli e tirarli via dalla strada a Cruzada Saõ Sebastiaõ, un conglomerato di abitazioni fondato nel 1955 da dom Hélder Câmara, allora segretario generale della Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani, come parte di un progetto urbanistico per creare alternative alle numerosissime favelas. «Alcuni amici mi regalano un canestro, altri qualche maglietta per i bambini... Funziona un po' così. Ma sto cercando delle imprese che ci finanzino». Wagner sa cosa vuol dire miseria in Brasile. Le proteste sono anche per questo: contro la povertà, le disuguaglianze sociali ancora profonfamente marcate nel Paese.

«Tutto quello che si dice del Brasile all'estero non corrisponde alla realtà», commenta Wagner, «l'economia sta crescendo, è vero, ma il problema è che i ricchi diventano milionari e i poveri sempre più disperati. Ci sono tanti ospedali disastrati. Inoltre, il Governo dà un sostegno alle famiglie che mandano i loro figli a scuola. Ma non dovrebbe funzionare così: noi vogliamo delle scuole davvero buone per dare un'istruzione valida ai poveri affinché possano trovare un lavoro». Quanto alla Gmg di Rio, a fine, luglio, Wagner spiega che le proteste non riguardano questo evento, al momento gli attivisti non ci stanno pensando.

Per il Brasile le grandi manifestazioni di piazza sono un evento eccezionale, al quale il Paese non è abituato. Ora, però, è diverso. Ci sono stati gli indignados spagnoli, i manifestanti greci, Occupy Wall Street. E, soprattutto, adesso c'è la Turchia. I giovani brasiliani guardano ai ragazzi di Gezi park. Là hanno iniziato per difendere un parco dalla distruzione. A San Paolo e Rio per 20 centesimi in più nel costo del biglietto dell'autobus. Ma in Brasile come in Turchia, di fronte alla marea del malcontento, alla voglia di cambiare, i Governi non posso chiudere gli occhi.   

Giulia Cerqueti
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