Bronte, la verità di una rivolta

Un dibattito nella città siciliana alle pendici dell'Etna svela le vere ragioni di uno dei "miti" del Risorgimento.

16/06/2013
Nino Bixio
Nino Bixio

La rivolta di Bronte fa parte a pieno titolo dei miti risorgimentali. Un mito talmente vivo nella memoria collettiva che ancora oggi è capace di risvegliare antichi fervori e appassionate discussioni, come è avvenuto nella cittadina siciliana alle falde dell’Etna qualche settimana fa nel dibattito cui hanno partecipato il giurista Piero Martello e gli storici Astuto e Barone. Ospite d’onore la collega Lucy Riall, professoressa di Storia contemporanea al Birkbeck College dell’Università di Londra, allieva di Paul Ginsborg e autrice del saggio “La rivolta. Bronte 1860”, edito da Laterza.


Della“jacquerie” contadina scoppiata dopo l’approdo dei Mille sull’Isola, resa immortale da una novella del Verga, hanno parlato scrittori del calibro di Carlo Levi e Leonardo Sciascia e registi come Florestano Vancini. Questa selvaggia sollevazione portò i contadini a commettere crimini feroci nei confronti dei proprietari terrieri nell’allora ducea dell’ammiraglio Nelson (le sorelle Emily e Charlotte Bronte si chiamavano così perché il padre Patrick Brunty si cambiò il cognome in onore dell’ammiraglio) è diventato uno dei simboli della vicenda nazionale. Ma nessuno, prima della Riall, aveva compiuto una seria e scrupolosa analisi delle ragioni che portarono alla rivolta, scrostandola dai miti e dalle sue inevitabili leggende, scegliendo e distinguendo tra casse di documenti scovati nell’archivio della famiglia Nelson, mettendo in luce i nessi causali degli eventi che si erano verificati. Ora, dopo questo saggio, possiamo dire di sapere tutto, o quasi, di quell’orgia di terrore consumata sulle pendici del gigante lavico.


Sei giorni di ferocia e distruzione cominciati nella notte del primo agosto 1860. A sedare la sanguinosa rivolta provvide Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi, che dopo aver sedato la rivolta improvvisò processi sommari e decretò esecuzioni sul posto. La vulgata è che Bixio fosse arrivato a Bronte per difendere il patrimonio britannico e i privilegi dei latifondisti messo a repentaglio dalla jacquerie contadina. Ma la realtà è molto più complessa e delicata di quello che si è scritto finora. In realtà gli inglesi non furono le vittime bensì gli spettatori della rivolta consumata ai danni dei proprietari terrieri siciliani. Il vero obiettivo furono i notai, i contabili, gli esattori dei canoni d’affitto, quel ceto che si dichiarava solo a parole in favore di Garibaldi ma che in realtà difendeva i propri interessi privilegiati fin dal 1848. Un ceto apparentemente liberale che diceva a parole di sostenere il Risorgimento ma che in realtà conservava in nome dei contadini la sua “roba”, mantenendo intatti privilegi e soperchierie.


Bixio, che riteneva i contadini assimilabili ai sanfedisti, interviene per ristabilire l’ordine e soprattutto per dimostrare agli inglesi, grandi protettori della spedizione di Garibaldi, l’affidabilità civile e politica dell'impresa dei Mille e del processo di unificazione nazionale. Le ragioni non sono di difesa della ducea ma molto più ampi: l’eroe dei due mondi voleva dimostrare di essere in grado di Governare la Sicilia e il Mezzogiorno d’Italia. Insomma, già allora le ragioni geopolitiche si imponevano su quelle di difesa dei privilegi borghesi.

 

 

 

Francesco Anfossi
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