04/01/2012
Il Dalai Lama.
Tra fumi d'incenso e canti sacri
accompagnati da tamburi e campanelli, si è svolto a Delhi il primo convegno
globale dei buddisti di tutto il mondo. Rappresentanti di 46 paesi si sono
raccolti intorno al Dalai Lama che, nella cerimonia di chiusura, ha piantato in
un parco della capitale un “pipal-tree”,
albero simbolico sotto il quale il Buddha raggiunse l'illuminazione 2600 anni
fa, proprio in India. E che, nel VI secolo DC fu sradicato e distrutto dal Re
Sasanka del Bengala, convinto e feroce anti-buddhista.
Dal convegno è emerso un
messaggio forte e chiaro: il Buddhismo è deciso a organizzarsi globalmente, e a
fare dell'India il centro di questa unità. “E' l'India, la terra del Buddha,
l'unico Paese che può prendere la leadership del mondo buddhista”, spiega Lama
Lobsang, capo della missione cha ha organizzato il convegno.
Ma non tutti
condividono con lo stesso entusiamo il nuovo progetto religioso. Il Governo
cinese, per esempio, è stato talmente infastidito dall'evento, da creare una
crisi diplomatica che potrebbe sfociare in breve tempo in una vera e propria
guerra fredda. I rapporti tra India e Cina, infatti, sono tesi su molti fronti.
La rivalità geopolitica dei due giganti asiatici corre innanzitutto sui 4057 km
di frontiera, in molti punti tuttora incerti e conflittuali. Lungo il confine,
un totale di 135.000 chilometri quadrati di terra indiana sono occupati
irregolarmente dalle forze cinesi, che hanno in corso dispute di frontiera con
altri 11 confinanti. Anche le acque del Mar della Cina sono contese dai due
rivali ma, nonostante 30 anni di
trattative, il raggiungimento di un accordo sembra ancora lontano.
Sul
piano economico, la rivalità vede le due potenze rincorrersi col fiato corto
per la supremazia sul mercato mondiale. Infine, sul versante religioso,
l'occupazione del Tibet da parte della Cina, e il conseguente esilio del Dalai
Lama in India, rappresentano gli estremi opposti di una crisi che ha avuto e
continua ad avere ripercussioni globali.
La Cina, con oltre 100 milioni di
buddhisti, ha cercato invano negli ultimi 50 anni di ottenere il ruolo di
leadership del mondo buddhista. Per esempio, sequestrando il Panchem Lama,
secondo capo spirituale del Tibet, e nominando un suo successore scelto dai
quadri di partito. Oppure, investendo miliardi di dollari nella ristrutturazione
di Lumbini, in Nepal, villaggio natale del Buddha, con l'intenzione di
trasformarlo in una Mecca buddhista. Inoltre, Pechino ha molto a cuore la nomina
del futuro Dalai Lama, sul quale vorrebbe poter esercitare il proprio controllo.
Ma, nonostante tutti questi sforzi, il genocidio politico e culturale perpetuato
dalle forze cinesi in Tibet ha reso assai poco credibile la posizione cinese
come leader religioso della fede buddhista.
Marta Franceschini