12/11/2010
Pippo Inzaghi, 37 anni, infortunato illustre del campionato italiano.
I calciatori ed i loro datori di lavoro continuano a discutere, fra minacce e controminacce, sul nuovo contratto che comunque finirà per essere un simulacro di accordo generale con la rituale proliferazione di accordi particolari, più o meno segreti, per i quali i campioni verrranno sempre pagati troppo, in qualche modo nonché con qualche dribbling del buon senso in più.
Ma intanto ecco che, secondo le regole di un gioco perverso, cioè il sovrapporre ad un male un altro male, ad un problema un altro problema, così che ci si ubriachi sempre con l’emergenza e ci si dimentichi di ragionare sulla normalità, ecco che si parla d’altro, e se ne parla drammaticamente: ora tocca agli incidenti, che falcidiano il nostro campionato come, pare, nessun altro al mondo, che altrove si giochi di più o si giochi di meno.
Juventus, Inter, Fiorentina, Milan: questa la classifica della jella, così almeno si dice. Ma ci sono club meno importanti dove l’incidente viene meno sottolineato, e persino meno rubricato ad usi statistici. L’anno scorso il Milan stava meglio, nel senso che stava peggio, ma con lo stop (definitivo, considerando i suoi 37 anni compiuti?) al davvero grande goleador Inzaghi è in atto il “recupero”. Ci sono studi europei, provenienti da seriosisismi istituti statistici, che ci dicono che da noi gli infortuni sono più numerosi che altrove: sono gli stessi studi che sino a poco tempo fa ci dicevano che gli incidenti in Italia erano meno numerosi che altrove.
Ci sono allarmi sul settore medico di tante nostre squadre, simmetrici agli elogi che sino a pochissimo tempo fa venivano rivolti al settore medico di tante nostre squadre. Idem per quel che concerne la preparazione atletica. Si parla di nostri campi infidi, di erba che non vuole crescere bene, per troppo sole o troppa ombra non si sa, ma anche di viaggi continui, di fine del vecchio classico allenamento, per via dei molti impegni dei club e degli impegni personali dei calciatori ormai uomini-sandwich per la pubblicità.
Cose che ci sono dovunque, almeno nel calcio di vetrina. Si mette anche in discussione il nostro tipo di gioco, come se esistesse ancora un gioco all’italiana. Si attendono nuovi studi con nuove statistiche, allarmanti o confortanti, chissà. Non di dice che da noi ci si fa più male per imbrocchinento generazionale magari casuale, e dunque necessità di impegno disperato e rischioso per colmare lacune di talento: questo perché si infortunano anche i campioni stranieri. Non si osa per fortuna parlare di fatture, malocchi e altre diavolerie.
E non si dice che tutto può essere colpa del doping. Chi ci legge sa che pensiamo che il doping nello sport di vetrina, di molto denaro, non esista soltanto perché in quello sport non esiste, non può esistere, considerati gli interessi, un serio antidping. E che pensiamo che l’Italia sia assai avanti (si fa per dire...) sia nella costante ricerca di un doping superiore all’antidoping quando pure questo antidoping esiste (ciclismo, atletica, sci nordico, sollevamento pesi), sia nella spregiudicatezza quanto ad uso di certi prodotti, sia nella carenza e nel rifiuto di validi controlli di genesi anche governativa.
Così continuiamo a scrivere che se pratiche illecite o comunque discutibili fanno aumentare la muscolatura, ma lasciano inalterati altri “settori” del corpo umano (cartilagini, nervi, legamenti, soprattutto legamenti, e persino ossa: in attesa comunque di trapianti assortiti...), si mettono dei motori da Ferrari dentro carrozzerie da Panda. E le carrozzerie si rompono, si disfano. Ma si tratta di un ragionamento troppo semplice, di quelli che fanno paura.
Gian Paolo Ormezzano