Cancellare la Parigi Dakar?

Quella maledetta corsa andrebbe soppressa e non cancellata per un giorno. Il lungo elenco delle vittime che si aggiorna di edizione in edizione.

21/01/2013

La Parigi-Dakar parla francese, incorona la Mini di Stephane Peterhansel, vincitore per l’11° volta, 5 in auto, dopo le 6 in moto: al traguardo di Santiago del Cile precede il sudafricano Giniel de Villiers (Toyota) e il russo Leonid Novitskiy (Mini).

Cyril Despres è al quinto successo in motocicletta, aveva già dominato il rally nel 2005, ‘07, ‘10 e l'anno scorso: precede il portoghese Ruben Faria e il cileno Francisco Lopez, l’intero podio è marchiato Ktm, moto popolare nel cross. Tra i camion domina il team Kamaz Master, con i russi Eduard Nikolaev, Ayrat Mardeev e Andrey Karginov.


Anche questa edizione sarà ricordata per le tragedie, talmente ricorrenti da farci ipotizzare la cancellazione e non di una sola tappa. La scorsa settimana è morto un francese di 25 anni, Thomas Bourgin, di Saint Etienne, a bordo di una Ktm, a paso de Jama, alla frontiera tra Cile e Argentina. In classifica era 68°, si dirigeva alla partenza della prova speciale sulla cordigliera delle Ande, la moto si è schiantata contro un’autopattuglia di carabinieri cileni che procedeva in senso opposto: affrontando una curva verso destra, non la completa e invade la zona in cui sopravvengono i veicoli in direzione contraria; immediati i soccorsi, come purtroppo il decesso.

Bourgin era molto esperto, per quanto debuttante, aveva l’obiettivo di completare la corsa eppure confessava: “Non sono certo di essere preparato alle difficoltà di prove tanto dure”.

Esordì nel 2009, a 22 anni, al rally del Marocco, fu quarto all’Africa race del 2011 e settimo in Tunisia.


Nell’ottobre di quell’anno, Marco Simoncelli morì cadendo, la tappa malese di Motogp fu sospesa e cancellata, è il minimo che si possa fare in questi casi, in Sudamerica invece sono partiti come nulla fosse, perchè dietro ci sono interessi milionari.

Nelle prime edizioni, dal ‘79 al ’91, si gareggiava proprio da Parigi alla capitale del Senegal, altre 5 volte si è arrivati a Dakar, l’ultima nel 2001. Dal ’95, la sede di partenza era itinerante, nel 2008 la gara fu annullata per minacce di attentati terroristici e per l'omicidio di 4 turisti francesi in Mauritania.


Da 4 anni il rally più noto si è spostato in America Latina, eppure il gps non basta per evitare rischi, sono spesso fatali la meccanica, il caldo e l’errore umano.

Il giorno prima del pilota francese due morti nell’incidente che ha coinvolto anche il Land Rover di assistenza alla scuderia Race2Recovery, formata da ex combattenti, feriti e mutilati in Afghanistan, nel Golfo o alle isole Falkland-Malvinas: a 10 km dalla frontiera con il Cile si è scontrato frontalmente con un taxi, hanno perso la vita il conducente del mezzo pubblico e un passeggero dell’auto che trasportava tre ex militari britannici.

Un anno fa perse la vita lo spagnolo Jorge Martinez Boero, 38 anni, durante la prima tappa. In 34 edizioni, siamo a oltre 40 vittime, quasi 60 se consideriamo il contorno, compreso il decesso in Mali per un proiettile vagante. Nell’86 la caduta di un elicottero causò la morte di 5 persone, tra cui l'inventore della corsa, Thierry Sabine. Nell’88 due morti, di navigatori, altrettante nel ’92, 2005 e ’07; dal ’98 al 2001 il periodo di tregua più lungo, mentre tre anni finì in coma Luca Manca, sassarese poi tornato in moto.

Nella lunga scia di sangue anche il pilota toscano Fabrizio Meoni, di Castiglion Fiorentino, l’11 gennaio del 2005. La moglie Elena mantiene attiva la onlus che porta il suo nome e non è d’accordo sull’eventuale stop alla competizione della morte.

“E’ successo varie volte – racconta la vedova del motociclista deceduto a 47 anni – che il passaggio di gente in senso opposto origini la tragedia. Ciascuno ha il proprio destino: se alla partenza questo francese era felice, ha fatto bene a gareggiare; i rischi esistono, non nascondiamoci come gli struzzi”.

Meoni debuttò nel ’92, 4 anni dopo vinse 3 tappe, fu secondo nel ’98, trionfò nel 2001 e ’02, finendo terzo nel 2003. “Nonostante abbia perso la vita, non avrebbe mai rinnegato la gara, le dava tantissima importanza, mettendola alla pari con la famiglia. I piloti sono consapevoli dei rischi, muoiono in tanti andando semplicemente al lavoro”.

Un discorso opinabile, anche se in questo caso le tre vittime si sono verificate in momenti di trasferimento.


Il figlio Gioele Meoni, 21 anni, disputa le prime gare, per passione, seguito con affetto anche dalla sorella Chiara, 10 anni.

Al via della Dakar c’erano 25 italiani. Tra le moto, Alessandro Botturi, bresciano di 37 anni, su Husquarna era 9°, si è ritirato. IL sanmarinese Alessandro Zanotti (Tm) chiude 72°, 86° il veronese Manuel Lucchese; 97° Mauri, mentre Napodano precede l’altra Honda di Rampolla.

Nei quad, il Yamaha di Liparoti è 15°, in macchina Cimotto e Dominella erano 57esimi, hanno abbandonato.

Tra i camion, 13^ posizione per l’ex campione di rally Miki Biasion, Fiori e Huisman, 23^ per Bellina, Arici e Minelli; piazza numero 37 per Verzellesi, Fortuna e Romagnoli, 43^ per l’ex pilota di F1 Alex Caffi, con Cabini e Mascialino, poi Mutti, Pezzotti e Pegoiani, mentre Cangani chiude 52°, assieme a due francesi. Tutti meritano un plauso per essersi battuti, qui davvero l’importante è partecipare e anche arrivare in salute.

Vanni Zagnoli
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