19/05/2012
Il magistrato Fausto Cardella.
Fausto Cardella oggi è Procuratore a Terni, ma il suo
sguardo sul fenomeno mafioso s'è affinato vent'anni fa a Caltanissetta, dove
indagò sulle stragi in cui morirono Falcone e Borsellino. Raggiunto al telefono,
accetta di riflettere, premettendo ogni cautela e invitando alla massima
prudenza, sul fatto di Brindisi che ci sconcerta in queste ore.
Dottor Cardella, alla luce della sua esperienza, quali sono le prime riflessioni?
«Premetto che è giusto prendere le mie riflessioni con la
cautela che meritano, da un lato perché non conosco i particolari,
dall'altro perché ogni valutazione è prematura. Quello che salta
all'occhio è che la Puglia sarebbe un obiettivo atipico, le uniche coincidenze
che portano le prime valutazioni a pensare alla mafia sono il passaggio della
Carovana antimafia e l'intitolazione della scuola a Giovanni Falcone e
Francesca Morvillo. E' troppo presto per fare valutazioni di qualsiasi genere.
Anche se il collegamento con le stragi del 1992-93, soprattutto Georgofili e
Velabro, viene istintivo. Però, ripeto: prudenza. Posso dire solo una cosa: che
le situazioni di grande incertezza, come quella che dal punto di vista
economico e politico stiamo vivendo, sono potenzialmente a rischio. Ce lo insegna
la storia: dal 1969, anzi da prima da Portella della Ginestra: storicamente le
grandi incertezze politiche e sociali sono il terreno fertile perché cose di
questo genere accadano. Se questo fatto sia da ascrivere a questa logica o ad
altre sarebbe presuntuoso dirlo, non solo per me, ma soprattutto per me.
Aspettiamo che parlino le indagini».
Vent'anni fa fu naturale collegare le stragi al fatto che il
maxiprocesso aveva per la prima volta certificato anche giuridicamente l'esistenza
di Cosa Nostra accendendole sopra un riflettore senza precedenti. Anche in
questi anni, soprattutto negli ultimi due, da quando le indagini di criminalità
organizzata al nord sono approdate a due maxiprocessi a Milano e a Torino, si
parla molto di criminalità organizzata.
Fate queste premesse, sarebbe illogico pensare che questa
attenzione "sgradita" sul tema, che le celebrazioni di questi giorni
acuiscono, possa avere un ruolo?
«In astratto, è una riflessione non del tutto azzardata: la
storia ci insegna che è già accaduto, per esempio con l'attentato a Maurizio
Costanzo nel 1993. L'alzare l'attenzione, da parte dei mass media e della
società civile, sulla criminalità organizzata, portò allora a questo tipo di attentato. Però è giusto dire che fu,
in questo senso, un fatto abbastanza isolato e, per così dire, atipico. Quello
che a una prima analisi, con tutte le cautele del caso, vien da dire è che il
tema della legalità è da tanto presente nelle iniziative della società civile,
della scuola, delle associazioni, mentre abbiamo assistito a un calo di attenzione
da parte della politica. E allora mi chiedo: se l'ipotesi che si fa in queste
ore fosse confermata, che cosa hanno voluto colpire? Che cosa hanno temuto? Più
ci penso più mi dico che oggi abbiamo organizzazioni di criminalità organizzata
più in buona salute rispetto a Cosa Nostra.
Quello che si nota, per il momento, è la scelta di un
obiettivo terroristico, simbolica: la scuola Falcone, la Carovana di Libera che
passa... e, se fosse come si dice, sarebbe certamente sconcertante, dirompente».
Soprattutto perché colpisce una scuola...
«Se la matrice fosse mafiosa, se l'obiettivo fosse una firma, il fatto che colpisca i ragazzi renderebbe
l'attentato ancora più grave di quello del Velabro. Fin qui possiamo
arrivare con la logica. Mi sembra più difficile capire che cosa avrebbero
voluto combattere ed esorcizzare. Non vedo in giro molti provvedimenti
antimafia così temuti o temibili. Vedo invece uno scenario politico ed economico
di grande incertezza. E' quello che mi preoccupa di più. Mi rendo conto che è
una ricostruzione assai superficiale e confusa. Ma, mi dico, se io dovessi oggi
indirizzare le indagini, come facemmo all'epoca con Capaci, a Caltanissetta con
Ilda Boccassini, io aggiungerei all'ipotesi A: "la mafia", un'ipotesi
B: "non solo mafia". Devo dire che l'ipotesi B, fu quella che apparve
subito più attendibile, quella su cui si lavorò allora e su cui, ancor oggi, a
proposito del 1992, si lavora. Mi toccasse oggi non escluderei l'ipotesi B.
Quello che io temo ora però è la retorica della stampa e dei politici. Ci sarà
una ridda di frasi di vuota retorica attorno a questo terribile episodio e già
sto male all'idea».
Elisa Chiari