13/11/2011
Rissa in Parlamento, una delle tante.
Tutto
cominciò con una "discesa in campo" e con un partito che si chiamava "Forza
Italia".
L'ambito metaforico del pallone sbarcava nella politica, correva l'anno 1994. È finita con
un dito medio alzato e un gesto dell'ombrello, a scanso di equivoci, nel rispetto
della par condicio.
Si è chiuso (si spera) così miseramente, con un seguito di caroselli e striscioni, il registro linguistico della
cosiddetta Seconda Repubblica tenuta a battesimo nel prato di San Siro e presto
adeguatasi tutta quanta alla trivialità da curva,
che la politica ha allegramente adottato, non solo nel lessico, nelle parole
scelte, ma anche nel tenore del dibattito.
Rotta la diga dello stile e della
buona creanza, all'insegna di una nuova classe politica più vicina alla gente,
un'ondata di volgarità da terzo anello ha travolto negli ultimi 17 anni l'emiciclo del
Transatlantico. Si è sdoganato l'insulto, il gesto scurrile ha preso diritto di
cittadinanza nella cronaca politica. Ma soprattutto, l'avversario è diventato
tale nel senso pallonaro del termine: tifosi d'opposte curve non dibattono e non si confrontano, si azzuffano
verbalmente senza argomentare al grido di “devi morire”.
Nel gergo ultrà non sono ammesse sfumature segno dell’articolazione del pensiero, solo colori contrapposti e
piatti, in cui i nostri hanno sempre ragione e i loro sempre torto, a
prescindere da quello che dicono e fanno. Loro e nostri ovviamente sono
intercambiabili, dipende dal punto di vista.
E,
come in ogni stadio che si rispetti, ma sarebbe meglio di no, l'arbitro ha
sempre torto quando dà ragione ai loro e sempre ragione quando dà ragione ai
nostri. E lo si insulta a prescindere dalla correttezza delle sue decisioni, di
più se inflessibile. Le regole del gioco in curva valgono solo per
l'avversario. In questo senso il punto più basso di questa
stagione linguistico-politica l'abbiamo raggiunto quando abbiamo udito insultare
al grido di "cancro" e "metatasi" i magistrati, gli arbitri della Repubblica,
senza tenere conto del fatto che con quei termini, che evocano la violenza
dell'estirpazione, si mancava di rispetto prima di tutto alla lotta impari dei
malati.
Se è vero che si
educa soprattutto con l'esempio, se questo vale non solo per i bambini ma anche
per i cittadini, la Terza Repubblica avrà anche questo compito: restituire alle
istituzioni
un linguaggio più consono ai ruoli e ai luoghi, giusto un tornello
mentale per separare l'emiciclo dalla curva.
Elisa Chiari