21/12/2010
Spagna '82, il ritorno dei campioni del mondo.
Il Vecio scosse la mutria, rassegnato. Sembrava triste, ma se appena scopriva i denti in un sorriso, ecco che poteva incutere paura. In quell’attimo il volto, pur buono, avrebbe allontanato qualsiasi bullo da caffè: un calcio, durante lontane risse in area di rigore, aveva schiacciato il setto nasale del Vecio, che ora ostentava la maschera sorniona d’un pugile in guardia perenne.
Sedevano su una panchina al limite del parco, lui e Arp. Ombre ambigue calavano tra querce e abeti. L’erba di smeraldo andava facendosi nera, scomparsi i cigni dal laghetto. Fiati di nebbia rotolavano nel prato e laggiù la sagoma in tuta seguitava a trottare, ogni tanto variando il disegno del suo balletto con rallentati calci nel vuoto, la gamba sinistra e poi la destra sparate come falci e lunghi tremolii soddisfatti che salivano dalle caviglie ai muscoli dorsali, alla nuca. «Undici come lui e non avremmo problemi», l’additò il Vecio.
Arp annuì stringendo le spalle per il freddo. Anche il Vecio rabbrividì. Sotto il tessuto turchino della sua tuta ginocchia e tibie si profilavano come lame. Tra gli incisivi fece dondolare una sigaretta. [...] «Ti basta aspettare. Stai fermo e aspetti», tentò un ragionamento Arp: «Lo Zio ha levato le tende, il Manager ha passato le carte, Adesso vi sarà un formidabile rimescolone e alla fine ti troverai solo in plancia. E la Banda Crepacuore riavrà un’anima. La tua». «Girano troppe cose che non mi piacciono», ruminò il Vecio. «Ma non hanno alternativa i tuoi capataz. Solo tu possiedi la stoffa del missionario. Solo tu accetterai quattro soldi per offrire la pelle al popolo tifoso».
Azzurro Tenebra, Giovanni Arpino
Se ne va Enzo Bearzot e riprendiamo per salutarlo il filo della rubrichina Calci d'autore inaugurata durante il Mondiale di calcio in Sudafrica, perché niente meglio di questo ritratto di Giovanni Arpino saprebbe rendere giustizia a Enzo Bearzot com'era e sarà sempre, uomo di calcio, senza esserlo, defilato. Offrì la pelle di cui gli parlava Arpino alla gloria della Spagna 1982 e al disastro del Messico 1986. Criticato comunque, prima di vincere e dopo che aveva perso. Mai salito sul carro di nessuno, mai contagiato dal carrozzone. Poche parole, colte, mai banali, mai per dar aria ai denti. Un cervello raro, in tanti palloni gonfiati e vuoti. Un cervello, ahinoi, in fuga. Merita il tributo che gli avrebbe dato Gianni Brera. Mezza riga così. Ciao, Vecio. Ti sia lieve la terra.
Elisa Chiari