Cie, i diritti dietro le sbarre

I Centri "anti-immigrati" violano la Costituzione e i diritti umani, dicono i promotori della campagna “LasciateCIEntrare”. Che conclude oggi una mobilitazione perché si cambi la legge.

28/04/2012
La manifestazione davanti al Cie di Milano, in via Corelli (Foto: LasciateCIEntrare).
La manifestazione davanti al Cie di Milano, in via Corelli (Foto: LasciateCIEntrare).

“Aprire gli occhi, aprire i Cie”. Questo lo slogan della settimana di mobilitazione (23-28 aprile) che ha visto impegnati associazioni, volontari, parlamentari, giornalisti per protestare contro le violazioni dei diritti umani nei Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie).

     La serie di iniziative, che ha oggi il suo momento culminante, si sono svolte a Milano, Bologna, Modena, Trapani, Caltanissetta, Gorizia, Roma, Torino, Isola Capo Rizzuto, Gradisca d'Isonzo: ovunque si sono svolte manifestazioni davanti ai centri. In molti casi gruppi di parlamentari e giornalisti sono entrati a visitarli, per verificare le condizioni degli immigrati che vi si trovano rinchiusi.

     L’iniziativa è della Campagna “LasciateCIEntrare”, promossa da un fitto cartello di associazioni e realtà della società civile che aderisce all’analogo movimento europeo “Open Access Now”.

     La campagna italiana era nata nel luglio 2011, a seguito del divieto imposto dall’allora Ministro dell’Interno Maroni che bloccava l’accesso della stampa nei centri. L’attuale ministro Cancellieri ha revocato il divieto, ma permangono ancora molte limitazioni e una totale “discrezionalità” nel concedere o meno l’ingresso alla stampa e ai parlamentari nei centri.

     “LasciateCIEntrare” ha diffuso un appello col quale chiede vengano eliminate tutte le forme di restrizione all’informazione. Ma non solo: «Grazie all’attenzione di molti giornalisti, avvocati e attivisti», recita il documento, «sono venute fuori storie di persone rinchiuse ingiustamente, di errori giuridico amministrativi, di rivolte, di mancata assistenza, di trattamenti al limite del rispetto dei diritti umani e civili».

     «Abbiamo visto giovani nati e cresciuti in Italia che sono stati chiusi in un Cie, poi liberati con una sentenza, perché i loro genitori “stranieri” avevano perso insieme al lavoro anche il permesso di soggiorno», continua l’appello. «Abbiamo incontrato potenziali richiedenti asilo, donne vittime di abusi sessuali o dell’ignobile tratta delle schiave, lavoratrici e lavoratori residenti in Italia da anni la cui unica colpa è stata quella di aver perso il proprio posto di lavoro e di non averne trovato un altro in tempo utile».

     «Abbiamo visto e sentito», sottolinea ancora, «l’assurdità delle condizioni in cui lavora anche chi si occupa della loro vigilanza e assistenza. Ci chiediamo quanto questo sistema rappresenti un inutile costo per la pubblica amministrazione. Crediamo, al di là delle nostre differenti estrazioni e posizioni politiche, che trattenere fino a 18 mesi rappresenti un’ulteriore aberrazione di questo sistema e di queste procedure. Crediamo che un uomo o una donna non possano essere privati di un diritto fondamentale e inalienabile come quello della libertà personale, per una detenzione amministrativa».

Il parlamentare del Pd Jean Leonard Touadi.
Il parlamentare del Pd Jean Leonard Touadi.

«È ora di cambiare», dicono senza mezzi termini i parlamentari del Pd Jean-Leonard Touadi e Roberto Di Giovan Paolo dopo la visita al Cie di Ponte Galeria a Roma. «Chiediamo al governo Monti e al ministro Cancellieri una netta discontinuità rispetto alla politica di Maroni sull'immigrazione, sonoramente bocciata dalla sentenza della Corte europea dei diritti umani».

     Touadi e Di Giovan Paolo insistono per un cambiamento radicale di rotta: «I Cie rappresentano l'esempio migliore del fallimento delle politiche del precedente governo sull'immigrazione. Questi centri sono strutture senza razionalità e senza umanità, luoghi del non-diritto dove le tutele e le garanzie previste dal nostro ordinamento spariscono dietro le sbarre. E la direttiva europea sui rimpatri viene continuamente disattesa dall'esclusivo ricorso alla privazione della libertà».

     Durissima anche la presa di posizione dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi): «Nei Cie», scrive, «vengono sistematicamente violati i principi Costituzionale posti a fondamento dello Stato democratico, oltre a quelli previsti dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani».

     In caso di respingimento, spiega l’Asgi, l’unica autorità a intervenire è quella di pubblica sicurezza, senza alcun controllo dell'autorità giudiziaria come invece esplicitamente previsto dalla Costituzione nei casi di limitazione della  libertà personale. Inoltre, è un abuso l’attribuzione di competenza al Giudice di pace: «Infatti», insiste l’associazione, «i Giudici di pace quando vengono investiti da questioni penali non possono irrogare sanzioni detentive. Che cos’è il trattenimento nei Cie se non una detenzione che può durare fino a 18 mesi?».

     Di fatto, poi, il ricorso in appello è inibito: non esiste un secondo grado di giudizio davanti a un giudice togato. Anche questo in violazione delle leggi italiane, secondo le quali «tutti i provvedimenti sono impugnabili, tanto più se riguardano una limitazione alla libertà personale». «Oltre a un giudice dimezzato», conclude il documento dell’Asgi, «abbiamo anche una procedura dimezzata, che contribuisce alla costruzione di un “processo speciale” per i migranti».

Luciano Scalettari
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