07/02/2012
Mario Monti, Presidente del Consiglio dei Ministri (foto Ansa).
Infelice battuta. È quella che Mario Monti ha fatto sulla monotonia del posto fisso. Soprattutto per i giovani che non trovano lavoro. O si sono rassegnati a non cercarlo più. Uno schiaffo, che sa di presa in giro. È come esaltare la bellezza della dieta a chi fatica a mettere assieme due pasti al giorno. Uno scivolone, anche dopo la parziale rettifica. «Il posto fisso», ha precisato Monti, «resta un valore positivo». Intendeva solo sottolineare la diffidenza degli italiani verso la mobilità. Ma poi ha aggiunto che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che impedisce il licenziamento senza giusta causa nelle aziende con più di 15 dipendenti, «è una rigidità e frena gli investimenti».
Altro campo di battaglia. In un serrato confronto con i sindacati. Per verificare se davvero l’articolo 18, frutto delle conquiste politiche e sociali degli anni ’70 (col contributo di movimenti di ispirazione cattolica), porti a un freno degli investimenti. Ma c’è il rischio di perdere di vista il bene delle persone e delle famiglie. A vantaggio di una concezione liberista, che considera i lavoratori semplici ingranaggi del ciclo produttivo. Da aumentare e diminuire, come si fa con le merci. Una concezione già condannata dalla Rerum novarum di Leone XIII a fine Ottocento, ai tempi della Rivoluzione industriale.
Poter fruire di un reddito costante, dare un minimo di certezze alla propria vita, assicurare alla famiglia i necessari mezzi per la casa, il vitto, gli studi, gli svaghi, non è «una fonte di privilegi». Tanto meno frutto di «buonismo sociale», come ha detto il presidente del Consiglio. È, invece, un diritto sacrosanto, che considera il lavoro come connaturato con la propria dignità, la propria identità e la propria persona.
Giovanni Paolo II, ex operaio in una fabbrica polacca, non si stancava di ricordarlo. L’ha ribadito, con chiarezza, nell'enciclica Laborem excercens. La centralità del lavoratore nel sistema produttivo e l’economia al servizio dell’uomo fanno parte del messaggio cristiano. Come emerge anche da tutte le encicliche sociali. Fino alla recente Caritas in veritate di Benedetto XVI. «L’attività economica», scrive il Papa, «non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile. Questa va finalizzata al perseguimento del bene comune».
Oggi, la priorità è sanare il Paese. Assieme alla lotta alla disoccupazione, soprattutto giovanile. In Italia un giovane su tre è disoccupato. Percentuale che nel Sud si impenna fino a uno su due. Ma il risanamento passa da una maggiore coesione e solidarietà tra le generazioni. Non dalla guerra tra chi è troppo protetto e chi non ha nessuna protezione. I giovani potranno dire che «il posto fisso è monotono» solo quando potranno scegliere o cambiare occupazione con facilità. Non certo ora. La ricerca o la perdita del lavoro apre scenari di disperazione. Non si liquidano con una battuta. Purtroppo, “i politici di professione” hanno dato prova di non interessarsi dei problemi della gente. I “tecnici”, forse, li conoscono poco.