07/03/2011
Il ministro dell Giustizia Angelino Alfano all'inaugurazione anno giudiziario 2011.
Prima notizia. C’era lite sull’affidamento di due gemelli sui tredici anni, e il magistrato doveva decidere. Adesso la sentenza è arrivata, però non interessa più a nessuno: né ai contendenti né tanto meno ai due ragazzi che sono ormai sulla ventina, maggiorenni e liberi di scegliere. Per mettere penna su carta il giudice ha faticato, diciamo così, per ben sette anni. “Settecent'anni ho dormito”, dice Aligi nella “Figlia di Iorio”.
Seconda notizia. Il governo sta per varare una riforma della giustizia che sarà, annuncia Berlusconi, “epocale”. Spetterà ai competenti veri valutarne il pro e il contro. Noi, da ignoranti, ci limitiamo a un paio di pedestri considerazioni. Una è che la riforma, avendo carattere costituzionale, richiederà tempi lunghissimi scatenando nel frattempo un putiferio politico. Già si ascoltano accuse e repliche di ogni genere, mentre tutt’altri problemi incalzano. Problemi drammatici e urgenti; non, come si dice, “a babbo morto”. La Libia, il petrolio, l’inflazione, i mutui destinati a inasprirsi, le famiglie giustamente preoccupate. Altro che doppio Csm.
L’altro banale discorso, rinnovato sui giornali mille e mille volte, riguarda i tempi della giustizia: appunto il caso esemplare, anzi oltre il limite del grottesco, dei due gemelli, e l’infinita casistica dei processi che si protraggono per dieci o vent’anni. Specie nel civile. Servirebbe qui un inciso sul penale, viste le facili scarcerazioni di stupratori e violenti, consentite da norme troppo permissive. In più un capitolo aggiuntivo sul “processo breve”, che non dovrebbe essere solo una scorciatoia per imputati illustri. Ma, di nuovo, lasciamo la parola agli esperti.
Non serve invece nessuna laurea per sostenere che al posto di riforme alle calende greche, con frustranti procedure istituzionali, servirebbero interventi concreti e non furbeschi per accorciare i processi. Le cause delle disfunzioni sono note a tutti. Pochi soldi, scarsezza del personale, faldoni al posto del computer, regolamenti che agevolano i difensori dei ricchi e mettono i poveri in condizione di cedere. Se uno pensa di poter incassare diecimila euro quando avrà la barba bianca, e gliene offrono tre o quattromila subito, ovvia la conclusione.
Faccenda di semplice buonsenso, si direbbe. E invece no, ci si affronta sui massimi sistemi, ignorando la realtà e trasformando in questioni vitali quelle che sono soltanto delle prese in giro. O, volendo essere proprio benevoli, dei rinvii alla prossima legislatura.
Giorgio Vecchiato