Cronaca di una trattativa. Partita male

I licenziamenti economici non li voleva nemmeno Confindustria. E allora perché ci siamo arrivati? I retroscena degli incontri Governo-Parti Sociali

24/03/2012
Luigi Angeletti, Susanna Camusso e Raffaele Bonanni.
Luigi Angeletti, Susanna Camusso e Raffaele Bonanni.

Il ministro Elsa Fornero e il premier Mario Monti non vogliono cambiare di una virgola la nuova versione dell’articolo 18, che prevede la possibilità di licenziare per motivi economici senza possibilità di reintegro. Hanno resistito graniticamente persino a un consiglio dei ministri di sette ore, che ha visto non pochi momenti di scontro sulla clausola del mancato reintegro, con interventi dei ministri Barca, Giarda, Riccardi e Balduzzi. Il ministro della Sanità Balduzzi, che è un costituzionalista, in particolare ha ricordato che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, come recita il primo articolo della nostra Carta, e che la riforma potrebbe andare contro il pilastro del diritto italiano.

 

Ma come si è arrivata alla norma più contestata della riforma del lavoro? C’è qualche mistero in questa vicenda. La Cisl, ad esempio, che ora non ci sta, durante la trattativa tra le parti sociali a Palazzo Chigi e nella sede del ministero del Lavoro, tra via Flavia e via Veneto, non aveva mai eccepito particolarmente sulle modifiche all’articolo 18, tranne poi cambiare idea il giorno dopo la chiusura della trattativa. Gli imprenditori, poi, non l’avevano mai considerata vincolante. Giorgio Squinzi, il nuovo presidente designato di Confindustria, ad esempio, ha sempre sostenuto che l’articolo 18 non è la priorità per il rilancio dell’Azienda Italia. La presidente uscente Marcegaglia non si è mai battuta particolarmente per i licenziamenti economici. Ha semplicemente accolto l’insperato regalo come un dono del cielo e ora, comprensibilmente, lo difende come un biglietto vincente della lotteria. Monti sostiene che l’Europa non capirebbe, ma non si capisce perché, dato che l’articolo 18 non ha particolari riflessi sugli investitori stranieri e l’Italia compare nella classifica OECD tra i Paesi dove il lavoratore è meno protetto. E dunque, come mai i sindacati, tranne la Cgil, sono usciti dall’incontro tra le parti sostanzialmente soddisfatti per l’accordo di giovedì, tranne poi cambiare idea il giorno dopo, dall’Ugl alla Cisl passando per la Uil?

 

Forse il guaio sta nell’impostazione della trattativa. Per il ministro Fornero, che è una docente universitaria prestata alla politica, si trattava di una prima assoluta. Per sua stessa ammissione, non era affatto pratica di quel genere di trattative. E così ha svolto il suo compito in modo un po’ accademico. A cominciare da qualche aspetto di colore che ha riportato molti dei partecipanti agli anni in cui erano studenti universitari. La professoressa Fornero ha spesso zittito bruscamente chi interveniva, come il segretario dell’Ugl Centrella. E a un certo punto ha richiamato dalla terza fila, facendolo venire al tavolo, Pierangelo Albini, il ferratissimo direttore delle relazioni industriali di Confindustria, perché la Marcegaglia si girava un po’ troppo spesso verso di lui per chiedere lumi. Pur desiderando un accordo il più largamente condivisibile per evitare tensioni sociali nel Paese (“non ce lo possiamo assolutamente permettere”), il ministro del Lavoro e Del Welfare voleva arrivare il più in fretta possibile al risultato. Bisognava tener fede alla fama di efficientismo del suo Governo. Era soprattutto Monti ad avere fretta. Il premier infatti voleva presentarsi a Bruxelles con la riforma in tasca. Ma la fretta a volte può fare i gattini ciechi.

 

E così, per evitare stalli e ostacoli  alla trattativa, il ministro ha posto l’articolo 18 in fondo al ruolino di marcia. E per far digerire meglio la pillola ai sindacati, ha cercato di accontentarli nell’antipasto della flessibilità in entrata e nelle politiche attive (molto care ai sindacati perché comprendono il finanziamento dei corsi professionali per il ricollocamento). A nulla sono valse le obiezioni sollevate dal presidente dell’Abi Mussari, (preparatissimo, anche tecnicamente, su ogni argomento) e del presidente delle Cooperative Marino, che chiedevano di inquadrare l’impostazione generale della riforma prima di entrare nel merito delle tematiche, per trovare un migliore punto di equilibrio. Ma la Fornero si è impuntata: “si va avanti punto per punto”. All'inizio ci sono state molte concessioni sulla flessibilità in entrata (fondi bilaterali, estensione degli ammortizzatori sociali, fondi di solidarietà , riduzione degli abusi, stop alle false partite Iva, incremento delle aliquote contributive; contrasto delle dimissioni in bianco, estensione dell’Aspi etc.). Concessione su concessione, alla fine le imprese, le banche, le assicurazioni e le altre controparti si sono trovate con un notevole aumento del carico contributivo. Se Bonanni e Angeletti si ritenevano probabilmente soddisfatti, le controparti degli imprenditori (Confindustria, Rete Imprese Italia, Abi e Ania) hanno cominciato a mugugnare di fronte a quell’insostenibile carico del costo del lavoro. A quel punto non è rimasto che cedere sull’articolo 18 per bilanciare la trattativa. Nel cesto del Governo, a favore degli imprenditori, era rimasto solo quello. E quello il ministro ha offerto. La Camusso ha resistito, Bonanni e Angeletti sono rimasti in silenzio, come un gatto col topo in bocca. Forse soddisfatti. Finché qualcuno, uscendo dall’incontro, non ha comunicato loro il numero dei messaggi provenienti dalla base dei due sindacati e delle proteste unitarie Cgil, Cisl e Uil contro la modifica dell'articolo 18 in molte parti d'Italia. E a Bonanni anche l'intervista del rappresentante della Commissione Lavoro della Cei monsignor Bregantini.

 

Francesco Anfossi
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