Ciao Lucio, sempre vicino al cielo

Gigi Vesigna ricorda Dalla e gli anni di una lunga amicizia cominciata al Festival di Sanremo in cui morì Tenco. La stanza con il soffitto di stelle.

02/03/2012
Lucio Dalla (foto del servizio: Ansa).
Lucio Dalla (foto del servizio: Ansa).

Alla  notizia, terribile,la memoria si illumina mettendo a fuoco un ricordo che ha dell’incredibile: il 27 gennaio 1967 in una stanza sotterranea dell’Hotel Savoy dove venivano ospitati i personaggi “minori” del Festival, Luigi Tenco pose fine alla sua vita terrena. Per puro caso io, che abitavo nello stesso albergo, scesi immediatamente insieme a due inviati del Messaggero e della Stampa e con loro entrai nella stanza prima dell’intervento della polizia. Poi il caos, e in mezzo alla confusione apparve uno strano personaggio avvolto in un pellicciotto probabilmente sintetico e, sotto, completamente nudo. Era Lucio Dalla che alloggiava proprio nella stanza vicina a quella di Tenco ma era sotto la doccia e non aveva sentito lo sparo.

     Fu subito un sodalizio, tanto più che noi cronisti eravamo gli unici ad avere apprezzato la sua esibizione al Festival con una canzone, Paff bum, che era un piccolo gioiello musicale ma che la platea del Teatro del Casinò, che allora ospitava il festival, fischiò ferocemente. Vidi scene selvagge: signore impellicciate che agitavano le loro collane di perle quasi fossero dei “lazo” per strangolare Dalla.

     E' la  solidarietà a permettermi di usare, oggi, un vocabolo troppo spesso abusato: amico. E da amico l’ho incontrato più volte in circostanze sempre anomale. Un’estate ad Anacapri, nell’albergo dove ero in vacanza, Lucio aveva una suite sul tetto: il soffitto della sua stanza da letto, grazie a un meccanismo che mi parve magico, schiacciando un pulsante scivolava via lasciando libero il cielo. Quel cielo che Lucio si sforzava di avere sotto gli occhi ogni volta che poteva.

     Così quando capitò ad Anacapri, dopo la solita rimpatriata mi chiese se avessi il tempo di ascoltare il suo nuovo album, che stava per uscire, e di fargli sapere il mio parere. Non c’erano titoli, trattandosi di un  provino ma uno dei pezzi, Canzone, era straordinario. Glielo dissi e scuotendo la testa ruggì un “se lo dici tu”. A Capri era arrivato sul suo veliero che aveva battezzato “Catarro” e, quando l’aveva acquistato gli avevo regalato un binocolo da capitano di lungo corso. Un oggetto esagerato, ma che lo divertì molto.

     Il cielo, dicevamo. Dalla abitava a Bologna in un vecchio palazzo le cui propaggini arrivavano sino a Piazza Maggiore. C’era aria di famiglia, di comunità: ogni giorno tanta gente intorno a un  tavolo con i tortellini si respirava profumo di cibo buono e di amicizia. Ma Lucio aveva un piccolo segreto che mi  mostrò solo quando la sera stavo per  tornare a Milano: c’era, proprio di sguincio su Piazza Maggiore, uno stanzino piccolo piccolo, con un letto, meglio chiamarlo giaciglio, dove Lucio, dopo aver comprato all’alba i giornali del giorno dopo, si rifugiava e supino poteva guardare un cielo blu che si era costruito da solo perché era formato da tante stelline che si illuminavano magicamente.

     Prima dell’ultimo Festival, al quale non  aveva intenzione di partecipare, ma finì per cedere all’insistenza di Gianni Morandi che all’epoca di Fatti mandare dalla mamma lui avrebbe voluto produrre ma la RCA glielo aveva impedito, gli avevo telefonato perché volevo occuparmi del suo ultimo disco, una curiosa e copiosa raccolta di tutte quelle canzoni che per un  motivo o per l’altro non avevano avuto il successo che di solito accompagnava un suo lavoro.

     “Ma dai, sono canzoni che quasi mi ero dimenticato, però non sono niente male. Comunque lascia perdere, per me è una “scompilation!”. Ora è diventata un oggetto prezioso, perché fa  conoscere un Lucio in penombra, che canta quasi sottovoce. Ma resta un inno alla vita perché "la morte", era solito dire, "è solo la fine del primo tempo!”

Gigi Vesigna
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