08/09/2011
Agenti della sicurezza indiana davanti al luogo dell'esplosione.
L'incubo del terrorismo colpisce ancora una volta l'India, nel cuore della sua capitale. Alle dieci e un quarto di mattina un ordigno è esploso davanti all'entrata del tribunale di Nuova Delhi, causando 11 morti e una settantina di feriti, e svelando in maniera inequivocabile la vulnerabilita' del Paese. Nonostante l'allerta dell'intelligence, che da mesi aveva segnalato la capitale come probabile obiettivo terroristico, le misure di sicurezza adottate dal Governo non sono state in grado di evitare l'ennesimo attentato. E le polemiche parlano di una tragedia annunciata.
Il 25 maggio scorso, infatti, un'auto parcheggiata proprio nei pressi
dei cancelli del tribunale era saltata in aria, senza tuttavia provocare
vittime. Un avvertimento, si dice oggi, che non è stato preso
sufficentemente in considerazione. Al contrario i terroristi hanno
dimostrato di potersi muovere nella capitale con relativa sicurezza e
precisione. Il Ministro degli Interni Palaniappan Chidambaram finora non
si è sbilanciato sulla matrice dell'attentato, limitandosi a dichiarare
che la polizia sta svolgendo le indagini. Tuttavia, con una mail
inviata a un canale televisivo indiano, il gruppo terroristico pakistano
HuJI (Harkat-ul-Jihad Islami) ha rivendicato l'esplosione, chiedendo la
sospensione immediata della sentenza di morte prevista per Muhammed
Afzal Guru, detenuto per cospirazione dal 2002. Se la loro richiesta non
verrà soddisfatta, minacciano ulteriori azioni contro i tribunali della
Corte Suprema indiana.
Uno dei feriti nell'attentato terroristico davanti al tribunale di Nuova Delhi.
Il 13 dicembre 2001, un'auto con falsi distintivi ministeriali riuscì a
penetrare a tutto gas nel cortile del Parlamento indiano. Ne uscirono 5
uomini armati che aprirono il fuoco contro le guardie ministeriali.
Nello scontro 6 poliziotti, i 5 terroristi e un giardiniere rimasero
uccisi, oltre a una ventina di persone gravemente ferite. Il governo
indiano accusò due gruppi terroristici pakistani (LeT e JeM) di essere
responsabili dell'attentato, anche se entrambe le fazioni si
dichiarorono estranee all'incidente. Un anno dopo, quattro membri del
JeM (Jaish-e-Mohammed, Esercito di Mohammed) furono arrestati e
processati per cospirazione all'episodio del Parlamento.
Uno di loro, Muhammed Afzal Guru, di orgini kashmire, fu condannato alla
pena di morte dalla Suprema Corte dell'India nel 2004. Da allora molte
sono state le richieste di clemenza a favore di Afzal Guru, sia da parte
di numerose associazioni per i diritti umani, sia di singoli personaggi
del mondo culturale e politico indiano. Fra questi anche la scrittrice e
attivista Arundhati Roy, autrice del best seller Il dio delle piccole cose,
e il giornalista e analista politico Praful Bidwai, che denunciano
gravi irregolarità processuali e violazioni dei diritti umani nel corso
degli interrogatori.
Marta Franceschini