Dialogo sulla fine del ciclismo

La notizia che lo spagnolo Alberto Contador è stato trovato "positivo" all'anti-doping durante il Tour de France ha scioccato l'ambiente. È meglio dire basta a questo sport?

30/09/2010
Lo spagnolo Alberto Contador festeggia la vittoria al Tour de France 2010 sugli Champs-élysées.
Lo spagnolo Alberto Contador festeggia la vittoria al Tour de France 2010 sugli Champs-élysées.

Elisa Chiari: Ciao G.P.O, hai sentito? Hanno beccato Contador. E se fosse vera la scusa della carne avariata, hanno beccato Mosquera. Chissà che altro marcio c'è? Io che per ragioni anagrafiche  ho visto solo marcio propendo per una provocazione. Chiudiamo baracca per due anni, biciclette al chiodo. Tanto non c'è speranza.

Gian Paolo Ormezzano: È come un governo che so io: lo beccano in errore o peccato, gridano che deve chiudere bottega, la sua risposta è che il popolo lo vuole, o almeno lo vota. Il popolo del ciclismo vuole i suoi eroi, le sue corse, si accalca caldo e devoto sulle stradedi montagna. Ci crede. Forse sbaglia, forse è la voce di Dio. O forse, molto più semplicemente, questo popolo si condede a due tipi di ragionamento anche sentimentale: 1) i ciclisti faticano infinitamente più degli altri, hanno una sorta di dirittodi aiutarsi chimicamente, mica devono essere sempre bestie da soma; 2) tutti nello sport si dopano, ma il fatto è che soltanto nel ciclismo, nell'atletica, nella pesistica  e nello sci nordico c'è un antidoping serio, valido, tenace, puntiglioso e spesso supportato dai governi.  

E. Chi: Ma se barano tutti che gusto c'è? A me sembra tutto finto, preferirei che andassero a una media di 10km/h in più, purché frutto delle loro gambe. Così vedo una gara ma non mi emoziono più.

G.P.O: A parte il fatto che se tutti si dopano sono tutti teoricamente alla pari, dunque ci può essere vera lotta (casomai il problema diventa quello dell'accesso democratico ai prodotti), io credo che l'atteggiamento della gente di fronte al doping si sia, diciamo, evoluto ancora più che il doping stesso. La gente pensa, inconsciamente o no, che tutto è dopato, dall'informazione in su o in giù. Che mangiamo e beviano cose fasulle, compriamo cose inutili. Che vediano e dunque sappiamo quello che vuole la tivù, che anche internet sarà domato per servire ai persuasori neanche troppo occulti. E poi la cultura, massì, dello sport estremo, quella che piace ai media ed ai pubblicitari per vendere i loro articoli, le loro immagini, i loro marchi, predica fatiche e azioni forti, che presuppongono in chi le compie una sorta di estasi da droga o di sicurezza da doping.

E. Chi: Mi confermi una cosa che penso sempre più spesso: il doping non è un problema sportivo ma sociale. E' considerato normale impasticcarsi per ballare fino al mattino, farsi litri di caffè per stare svegli la notte a studiare prima della maturità, tirare di coca per lavorare di più, prendere farmaci per rendere meglio tra le lenzuola. Molti sono disposti a farlo, le statistiche dicono che molti lo fanno, dunque che è "nella norma", però io che sono un'idealista mi rifiuto di considerarlo normale. E comunque lo sport ha dentro un altro problema in più: la moralità. Chi si dopa per ballare più a lungo fa male a sé stesso, manca di rispetto a sé stesso, ma non bara. Chi si dopa nello sport invece bara e questo fa la differenza. Perché se mi fai vedere una gara, ma io non capisco più chi ha vinto e chi ha perso e perché, abbi pazienza, mi ritiro sull'Aventino. Mollo tutto e vado a badare alle anitre, come diceva il Gianni Brera ritratto da Arpino in Azzurro tenebra.


G.P.O: Anche chi ha successo nel lavoro perché la coca lo tiene sveglio e dinamico bara. Bara e vince su chi lavora con mezzi ridotti. Idem chi ha successo nell'amore, negli studi. Bara, supera, arriva primo sui suoi traguardi. Troppo comodo obbligare lo sport a essere morale, a fare da shampoo per tutte le coscienze, quando da sempre serve ai poveri per diventare ricchi e ai potenti per addormentare i popoli o per eccitarli nella direzione che il potere vuole. Lo dico con dolore, io sono cresciuto a pane e sport diciamo puro, ma ora penso che mi sono compiaciuto della mia ingenuità. Ho persino creduto nella Germania Est, dove facevo molti reportages da giornalista ammiratore. E adesso mi piace credere nella Spagna che sforna fenomeni e che è più simpatica della arcigna Ddr. Ma è tutta finzione, per non dire ipocrisia. Spiridione Luis vinse la prima maratona olimpica moderna dopandosi con cibo a base di fichi dolcissimi, e voleva il premio promesso, una principessa di sangue reale in sposa. E tutti però si commossero per il pastorello romantico. E se lo sport di vetrina fosse da sempre un porcaio, e anche noi giornalisti i guardiani, i complici, i produttori e fornitori di prosciutti?

E.Chi: Noi siamo complici: mettiamo Bolt in pagina solo se fa il record. Se vince soltanto: una breve in cronaca. Perché, ci dicono, questo solo vende. Siamo finiti all’uovo e alla gallina. Dobbiamo dare al popolo quello che vuole o provare a dargli un po’ di senso critico? Mi ci metto dentro per prima. Oggi è uscito su Fc di carta il mio ritratto di Vincenzo Nibali, è il ritratto di lui ciclista di oggi o di come io vorrei che il ciclismo fosse? Pulito, onesto come so non essere stato mai? Domenica c’è il Mondiale su strada, se non fosse per il dovere professionale non accenderei neanche la Tv. Ma se dopo vince un azzurro e mi chiedono un ritratto che faccio? Obiezione di coscienza?

G.P.O: Nel 1988 proposi proprio a Famiglia Cristiana, dopo che Ben Johnson vincitore dei 100 ai Giochi di Seul era stato scoperto in peccato di doping, di posporre ad ogni aritcolo di esaltazione di un successo due letterine puntate: s.d., salvo doping. Ogni anno Gianni Mura al seguito dei suoi ciclisti ricorda questa mia proposta, e lo rignrazio. Scrivere dobbiamo, scrivere e informare e raccontare (soprattutto raccontare, descrivere, intepretare: l'informazione di massima arriva velocissima sul video o via web. Ma possiamo e dobbiamo (potremmo, dovremmo) difenderci così, con l's.d. Se avessimo siglato con s.d. gli osanna a Contador, ciclista spagnolo apparentemente della razza degli umili e dominatore del Tour, adesso potremmo anche bypassare la sua triste vicenda che lo vede accusato di doping. A me Nibali piace, ma non mi fiderei neppure di un ciclista che fosse mio figlio. Ma perché dico un ciclista, sono anch'io malato di pressapochismo, di paura. Dico qualsiasi sportivo di vertice, anzi di vetrina, esaltato e intanto sottomesso dalla legge del denaro, della popolarità, della produzione costante di record da applauso. I primati dello sport ormai servono per farci sapere che l'uomo può comunque fare grandi cose. Io fruitore di sport di vetrina non ho più nulla a che spartire con quel tipodi uomo, ma è pur sempre uno della mia famiglia umana. Siamo spettatori di uno show pornografico, guardiamo gente che fa cose per conto nostro, per delega nostra, di noi rincretiniti dalla non cultura, incollati alla sedia davanti al video sottilemente shifoso, sottomessi al consumismo che ci fa più alti e longevi intanto che orribilmente meno sani di spirito.

E.Chi: Non è rassicurante, però grazie della chiacchierata. Speriamo che i lettori ci perdonino. Se possono, per il fatto che come dice Gianni Mura frequentiamo ancora il ciclismo come se fosse un vecchio zio, un po' fatto e rimambito, cui siamo comunque debitori di belle storie.

Elisa Chiari e Gian Paolo Ormezzano
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