06/07/2010
Una cella di immigrati detenuti a Sebah
Telefonate disperate dai cellulari, nella notte, prima che fossero sequestrati. Richieste d’aiuto, “ci stanno picchiando coi manganelli”, “ci stanno portando via”. Tutto è avvenuto in fretta: l’irruzione di un reparto dell’esercito libico, i pestaggi, i tentativi di scappare subito bloccati dai soldati. Le ultime chiamate sono arrivare alle 5 del mattino. Poi il silenzio. I telefoni sono stati sequestrati.
Duecentocinquanta eritrei, fra cui molte donne, una cinquantina di minorenni e cinque bambini, sono stati caricati a forza su camion-container e portati via. Dal campo di detenzione di Misratah, nella Libia settentrionale, dove si trovavano, sono stati trasferiti a Sud, nel deserto sahariano.
La deportazione è avvenuta nella notte del 30 giugno. Il giorno successivo si è saputo dove sono stati portati: al dentro di detenzione di Sebah, uno dei più terribili, in condizioni di sovraffollamento disumano, con condizioni igieniche terribili, con pochissimo cibo e acqua.
L’irruzione della polizia libica è stata violentissima: alcuni eritrei hanno riportato fratture, diversi sono feriti (pare una trentina), sei in modo grave. Ma nessuno di loro è stato curato o portato in ospedale: tutti indiscriminatamente – bambini inclusi – sono stati caricati sui camion e portati a Sebah. Notizie frammentarie, frutto di un allarme raccolto dalle poche concitate parole di chi è riuscito a telefonare al momento dell’irruzione degli agenti libici.
Parole raccolte da Gabriele Del Grande, il fondatore di Fortress Europe, un’associazione che si occupa delle vittime dell'emigrazione. Qualche altra notizia è giunta attraverso canali di fortuna anche dopo l’arrivo dei deportati a Sebah. E sono ancora notizie drammatiche: «Siamo in stanzoni che dovrebbero contenere al massimo 30 persone, e siamo almeno una novantina. Di notte dobbiamo stare seduti perché non c’è spazio per distenderci. Ogni due ore entrano i poliziotti libici e ci picchiano. Quanto possiamo resistere in queste condizioni di tortura continua?»
Centoquaranta degli eritrei si trovano nel nuovo lager libico privo di documenti e di abiti, perché sono stati prelevati nella notte, in una situazione di caos generale. Gabriele Del Grande lancia l’appello: «Questo scempio deve finire», dice, «La comunità internazionale deve intervenire per fermare le torture, le vessazioni, le umiliazioni, gli abusi che stanno subendo questi eritrei».
Luciano Scalettari