10/10/2011
Suon Eugenia Bonetti durante una delle sue missioni in Benin.
Il giorno dopo l’assegnazione del
Premio Nobel a tre donne, due liberiane, Ellen Johnson Sirleaf, prima Presidente
donna di uno stato africano, e Leymah Gbowee, attivista
pacifista, quindi figlie di terra africana, e
una yemenita, Tawakkol Karman per il suo
impegno per promuovere i diritti delle donne e la democrazia nello
Yemen,
non fa che riempirmi di gioia,
gratitudine e speranza.
La giuria ha voluto scegliere tre
donne, una molto nota per la sua posizione di leader, mentre le altre due meno
conosciute pubblicamente, ma altrettanto attive e che hanno saputo incidere
nella vita, nello sviluppo e nell’opera di riconciliazione dei loro Paesi in
modo positivo. Infatti, la motivazione del premio veniva così espressa:
«Per la loro lotta non violenta in
favore della sicurezza delle donne e del loro diritto a partecipare al processo
di pace».
Non dobbiamo dimenticare che queste
tre donne premiate hanno pagato di persona il credere nei loro principi e valori
di democrazia, libertà e dignità senza arrivare a compromessi con il potere di
turno per ottenere facili benefici e guadagni personali. La loro testimonianza
ci ricorda che lottare e lavorare senza interessi di parte o personali per la
giustizia, la pace, la solidarietà, la riconciliazione e il dialogo, presto o
tardi viene riconosciuto e può davvero portare a cambiamenti storici di interi
Paesi.
Il bene si fa strada da solo anche se a volte con fatica, mentre il male,
la corruzione e la disonestà non potranno avere il sopravvento. Dovremo, a
livello personale e collettivo, rispondere per i valori o disvalori trasmessi ai
nostri figli.
Questo deve ricordare a tutte noi donne, ma in
modo particolare a quanti hanno ruoli di responsabilità, che bisogna investire
sulle donne, credere nelle loro capacità e nella loro forza per costruire un
mondo di pace, fratellanza, accoglienza, rispetto e sviluppo a tutti i livelli.
Passa anche dalle loro mani, dalle loro menti e cuori la costruzione di un mondo
migliore.
Sono proprio loro che con le loro
intuizioni, capacità di mediazione, coraggio, tenacia, sanno costruire ponti per
colmare le differenze, per lenire le ferite causate dalle guerre e dalle lotte
tribali, per lavorare gioiosamente insieme, per favorire il bene comune a
vantaggio di tutti, specie di chi fa più fatica.
Queste sono le donne che io
stessa come missionaria ho incontrato in Africa e che ricordo con affetto e
gratitudine, perché da loro ho imparato molto. Mi hanno insegnato soprattutto
che noi donne siamo chiamate soprattutto e costantemente a generare la vita, non
solo a livello di fecondità biologica, bensì a portare ovunque semi di vita e di
speranza affinché ogni persona possa svilupparsi e
crescere.
A pochi giorni dalla scomparsa di
un’altra grande donna africana, Maathai Wangari, lei pure Premio Nobel per la
Pace del 2004, questo nuovo riconoscimento è un ulteriore stimolo affinché
l’Africa possa continuare a “camminare con i piedi delle sue donne”.
L’ex segretario generale dell’Onu
Kofi Annan, pure lui africano, affermava durante un riconoscimento ricevuto in
Sud Africa: “Se volgiamo salvare l’Africa, dobbiamo prima di tutto salvare le
donne africane”. Io vorrei ribaltare questa , sostenendo che saranno proprio le
donne a salvare l’Africa e non solo.
Quale sfida e stimolo è questa
anche per noi donne di Paesi così detti civili e sviluppati. Non è forse giunto
il tempo di riprendere in mano il nostro ruolo nella famiglia e nella società,
nella sfera pubblica o privata per aiutarci a riscoprire e vivere i valori veri,
autentici e duraturi, senza compromessi, scappatoie e
illusioni?
suor Eugenia Bonetti