09/03/2013
Il contesto è di quelli freddini, istituzionali. Il luogo di più. Siamo nell'aula magna del palazzo di giustizia di Milano, in una penombra di marmi austeri, e di interventi professionali, autorevolissimi di psicologi, avvocati, magistrati, uomini e donne delle istituzioni. Ma per cambiare passo al convegno Combattiamo il silenzio, organizzato dalla sezione lombarda dell'Aiaf, l'associazione italiana avvocati per la famiglia e per i minori, con Lions e Donne in rete, c'è voluta la voce fresca e chiara di Alice, una voce di giovane donna, bella e forte, una voce di grande coraggio, che mettendoci la faccia, ha raccontato la notte che l'ha gettata nel baratro, ma non le ha tolto la forza di risalire.
«Ero stata al cinema con gli amici, tornavo a casa, nel cortile del palazzo vidi un'ombra, mi parve l'ombra di un uomo, mi spaventai ma per un attimo pensai che fosse suggestione - avevo appena visto un thriller. Ma durò un attimo. D'instinto invece di voltare le spalle e fuggire in strada, mi parve più sicuro cercare di guadagnare il portone, ma mi arrivò addosso prima che potessi arrivarci. Cominciò a picchiarmi con una bottiglia che aveva in mano sulla tempia, fortissimo. Avevo paura di morire, ma sono riuscita non so come a non perdere conoscenza, mi strattonava per un braccio e mi picchiava, io urlavo «Aiuto mi stanno aggrendendo», ricordo benissimo le mie parole. E le finestre dei vicini, nel caldo di una sera di giugno, cui nessuno si affacciava nemmeno a piano rialzato - davvero non sentivano?-. E lui mi picchiava, mi picchiava e intanto calmo continuava a dirmi «devi venire con me». Non lo vedevo in faccia aveva il volto coperto. Mi divincolavo come potevo, senza riuscire a liberarmi. Poi non so come sono riuscita divincolarmi. Non so se sia stata la sorpresa o una finestra che si è aperta, è fuggito e mi sono salvata. Ma il peggio doveva ancora venire».
Alice torna a casa, con la sua coinquilina va al pronto soccorso, 90 giorni di prognosi e una vita che non è più la stessa: «Il peggio viene dopo - e non per il volto sfigurato e la mano rotta - ma quando hai paura di tutto, quando non ti senti più sicura da nessuna parte, quando smetti di uscire, di vivere, quando ti senti in colpa e non sai neanche di che. Per tre anni non riuscivo a tollerare che mi si sfiorasse il braccio per cui quell'uomo mi teneva. Non mi riconoscevo più rifiutavo me stessa e il mio corpo, ho cominciato a vivere in tuta e maglie informi, a nascondermi. Solo di lavorare non ho mai smesso: era l'unico scopo per cui alzarmi la mattina. Poi un giorno ho letto sul giornale che era accaduto di nuovo, a un'altra nello stesso modo. In quel momento ho toccato il fondo: sono andata davanti allo specchio, rifiutavo l'Alice che vedevo, ho preso le forbici e mi sono tagliata i capelli».
Un gesto estremo e una svolta: «In quel momento vedendomi allo specchio ho capito che avevo una sola scelta o andare a fondo per sempre o ricominciare, mi è scattato dentro qualcosa e sono ripartita. E' stata dura, e le psicologhe che mi sono state vicine da quando quella sera in ospedale sono stata assistita hanno fatto un grande lavoro. Vorrei dire alle altre donne che vivono lo stesso dramma: datevi tempo, datevi il tempo di soffrire, di elaborare. Quando quella sera all'ospedale mi dissero che non avrei dimenticato ma avrei imparato a convivere con il ricordo fu un'altra mazzata, ma ora so che era vero. Non è facile, ci sono i pianti e i momenti di sconforto, ma ora so che dal fondo si risale, sono diversa, ma mi sento una persona più forte. Per questo mi sento di dire: chiedete aiuto, non abbiate paura di chiedere aiuto. Rompete il silenzio. Tornare a vivere si può».
Il 13 marzo Alice sarà al teatro Martinitt a Milano, attrice per un giorno, parte di uno spettacolo duro, per la regia di Edmondo Capecelatro, ex poliziotto, una vita a combattere la violenza da investigatore e oggi impegnato nella prevenzione: «Ho voluto Alice, per la forza della sua storia, e perché il suo coraggio di salire su quel palco è una testimonianza di grande speranza. Perché non basta cambiare le leggi, bisogna cambiare la cultura, le coscienze».
Elisa Chiari