Duello in Tv? In Italia non c'è più

Solo risse parolaie tra politici, col rimpianto dei tempi di Tribuna elettorale

11/11/2012
Neanche Beppe Grillo gradisce il contraddittorio in Tv (Ansa).
Neanche Beppe Grillo gradisce il contraddittorio in Tv (Ansa).

Le elezioni alla presidenza degli Stati Uniti lo hanno sottolineato per l’ennesima volta: il consenso politico passa via cavo più che per le piazze e il comizio si è trasferito armi e bagagli dai megafoni in città ai microfoni degli studi Tv. Ogni gesto, ogni parola dei due contendenti, l’uscente Obama e lo sfidante Romney, è stato sottoposto a chirurgica analisi da intellettuali e pubblicitari, strateghi dell’immagine e suggeritori comportamentali, allenatori dietro le quinte e politologi, esperti di media e, finalmente, telespettatori. E i due attori hanno recitato il ruolo dei protagonisti pur sapendo che in realtà la vera regista della campagna elettorale era lei, la televisione. Si dirà: da sempre è così, per lo meno dal celeberrimo duello del 1960 tra Nixon e Kennedy. E si eccepirà: la politica è diventata un tutt’uno con lo show e le idee sono costrette alla retroguardia.

Avvezzi alla televisione come noi europei ai monumenti, inclini per natura al duello uno contro uno, gli americani non subiscono il confronto televisivo tra candidati come una scossa tellurica ma, piuttosto, come un appuntamento che il calendario propone alla stregua di un’olimpiade di frontiera, una ogni a quattro anni. Poi, finito lo show, si smonta il baraccone e si torna alla quotidianità. Pragmatici seppur desiderosi di essere sedotti ora da un repubblicano ora da un democratico, gli americani vivono quel confronto con una certa placida soddisfazione, mal sopportando qualsiasi accenno sopra le righe.

Quanto ai due candidati, estraggono i loro assi dalla manica con uno stile che da noi, in Italia, s’è perso. Se le danno, a parole, e infieriscono anche, ma non sono mai scomposti. Il primo sale sul palco, saluta, sorride, afferma (con toni sereni, normali), mentre l’altro attende il proprio turno senza interrompere, senza proporre gesti di disgusto durante le tesi del contendente. Si chiamerebbe comportamento corretto, se solo ce ne ricordassimo. Per noi, ormai figli di un’epoca televisivamente sguaiata, quel rispetto reciproco sfocia, inguaribili nostalgici che altro non siamo, in sospiri malinconici tipo: “Ah, i politici di una volta, che sapevano affrontarsi col fioretto senza oltrepassare il limite del buon gusto”!

A proposito, che fine hanno fatto i duelli tra candidati? Perché forse non ci si pensa neanche più, trascinati nel vortice della politica-spettacolo, ma il confronto sano, forte, tra candidati che vogliono convincere l’elettore, è letteralmente sparito di scena in Italia. L’ultimo, pensa un po’, risale a quel faticosissimo Berlusconi-Prodi 2006, con il Cavaliere che, dopo aver faticato non poco a stare nei limiti del regolamento, non ce la fece a concludere in clima di serenità, ma sibilò il famoso “e aboliremo l’Ici” che ancora oggi tutti rammentano con qualche brivido.

Sì, vabbè, ma adesso? A parte il fatto che non si conoscono i nomi dei due possibili contendenti, l’idea di un confronto in Tv non viene neanche presa in considerazione. Dai politici, perché troppo affannati a ritrovare la credibilità (eh già, dove l’avevamo messa, chi ce l’ha spostata, che era qui?). E dalla televisione, che preferisce investire in pseudo-salotti dove regna, però, un ambientazione da cortile. Una frase che arrivi al punto finale è impossibile; l’ipotesi che chi parla sia ascoltato con rispetto, figuriamoci. E d’altra parte, gli stessi anchorman non danno quasi mai un bell’esempio: proprio nella notte delle elezioni americane, gli insonni hanno potuto ammirare con quale arte certi giornalisti italiani l’abbiano “buttata in caciara”, con tanto di insulti, volgarità di banconote esibite, risate e battutacce d’avanspettacolo.

Eppure Tribuna elettorale, tanto per dire, nacque proprio nei giorni del duello americano Nixon-Kennedy, nell’ottobre 1960. Sette milioni di italiani videro il ministro dell’Interno, Mario Scelba, rispondere alle domande dei giornalisti. Dopo poche puntate, i telespettatori raddoppiarono. La politica entrava nelle case, anche se alcuni politici non ne furono contenti. Scelba stesso, sibilò a Fanfani: “Bravi, dopo le ballerine siete riusciti a far entrare nelle case degli italiani Palmiro Togliatti. Vergognatevi”!

Altri tempi: oggi le ballerine vanno meno in Tv e più nelle case… dei politici i quali, a loro volta, le Tv le coccolano, le circuiscono, le dominano, dando ordini e mettendo le persone giuste al posto giusto. Che direbbe oggi Scelba? Allora c’erano Granzotto, Zatterin, De Luca, Jacobelli e Vecchietti. Sì, forse sapevamo anche quali idee avessero personalmente, ma quegli antenati degli anchorman odierni cercavano di dimenticarlo per assumere atteggiamenti professionali impeccabili. Oggi il giornalista Tv sghignazza da destra mentre la collega gli dà del cretino da sinistra…

Quanto alle sfide, ai duelli, ai confronti, ci si appassionava per l’italiano forbito ma al vetriolo di Pajetta e per la sua bestia nera, Romolo Mangione, giornalista socialdemocratico dell’Umanità: erano piccoli show anche quelli ma il garbo formale restava anche tra “nemici” perché il primo comandamento era: rispetto per il telespettatore. Ci si interrogava sulle circonvoluzioni di Aldo Moro e sul pessimismo di La Malfa, mentre gli occhi cerulei di Almirante cercavano di far dimenticare immagini di manganelli svolazzanti e il popolo comunista riceveva l’ordine di accendere il televisore da un trafiletto sull’Unità: “Questa sera il compagno Berlinguer parlerà a Tribuna politica”. Così, quando clamorosamente apparve Marco Pannella imbavagliato, la scena fu davvero irripetibile e nel suo genere, perfetta: 25 minuti di silenzio politico in Tv, tanto era il tempo spettante a ogni partito in quella tribuna referendaria del 1978.

Altri tempi, poi c’è stato l’assalto. Ancora una volta, Federico Fellini vedeva giusto, immaginando orde di indiani brandire antenne televisive al posto delle lance, pronte a lanciarsi contro il fortino di Cinecittà. La Tv non era più mamma perché ce n’è una sola. E la moltiplicazione delle posticce mamme Tv ha corrotto l’ambiente, anche in politica. Dai pensosi richiami dei Nenni e dei Fanfani si è passati alle urla e alle interruzioni continue e sgradevoli: i nostri politici quando si trasferiscono in televisione non tengono alla propria reputazione. Così, i pochi ancora rispettosi di chi guarda e ascolta da casa rischiano di fare la figura dei perdenti. Vuoi mettere il gusto dell’accusa senza prove, del grido accompagnato dal gesto della mano, o il labbro disgustato e piegato all’ingiù perché altri stanno cercando addirittura di parlare?

In questa telerissa continua, in questa sorta di continuazione della guerra con altri metodi, ci si aspetterebbe, di conseguenza, duellanti pronti a scannarsi al momento giusto, quello del confronto elettorale. Invece, guarda caso, tutti questi rabbiosi e velenosi politici dell’etere, quando arriva il momento solenne di rispettare l’elettore parlando di programmi e spiegando cosa vorrebbero fare, si fermano. No, non si può fare, il duello no, è inutile, dicono. Forse anche Scelba preferirebbe oggi vedere un Togliatti nelle case degli italiani, piuttosto che questi rissaioli del codicillo legislativo.

Quelli erano politici di razza, questi figli del pifferaio magico che entrò in scena – pardon, scese in campo – annunciando: “Basta con i politici di professione”, scellerato enunciato da cui l’Italia ancora non si riprende. Nessuno ebbe il coraggio di dirgli che sì, è vero, gli idraulici, per esempio, costano caro e vengono quando vogliono loro, e che certo, volendo, un lavandino lo sappiamo sturare anche noi che idraulici di professione non siamo. Per un po’ il rattoppo tiene, poi diventa una valanga che allaga tutto. Allo stesso modo, la politica a volte è irritante, ma senza politici di razza e di professione è ancora peggio.

E allora, perché non tornare ai sani duelli, ai faccia a faccia per aiutarci a capire, ascoltare, scegliere? Semplice: perché a qualcuno fa più comodo la "non scelta", l’abbandono del campo, la ritirata. E anche questa è una forma di politica. Perfino il Masaniello del web, Beppe Grillo, consiglia-ordina-suggerisce-ammonisce i suoi adepti: “Via dalla televisione!” E chissà, magari avrà ragione proprio lui, che della Tv è stato un figlio prediletto, ma è anche vero che così i cittadini-elettori scopriranno mai non solo i volti dei 5stellini, ma anche le loro idee.

Unica eccezione, Sky, che promette – alla buon’ora – un dibattito tra i cinque candidati delle primarie del centrosinistra. Nell’ordine (rigorosamente alfabetico, per non offendere la suscettibilità catodica dei candidati): Bersani versus Puppato versus Renzi versus Tabacci versus Vendola. Wow, un vero duello ad armi pari, facendoci passare dal digiuno all’abbuffata in un sol colpo, a ribadire che siamo in un Paese sempre eccessivo. La Rai no, per carità e Mediaset neanche, non sia mai. Meglio il salotto parolaio perché è tristemente vero: il mezzo è il messaggio.

Manuel Gandin
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