03/06/2011
Il Mediterraneo, ancora una volta cimitero a cielo aperto. Centocinquanta cadaveri affiorano al largo della costa tunisina. Corpi di uomini, donne e bambini galleggiano tra i flutti nell’indifferenza quasi generale dell’Europa. I migranti naufragati erano a bordo di un vecchio peschereccio con oltre 800 persone a bordo andato in avaria durante la traversata verso Lampedusa. L’agenzia tunisina Tap aveva riferito che 570 persone erano state tratte in salvo e altre 270 risultavano disperse. Per l'Onu è la peggior tragedia del Mediterraneo. L’Acnur fornisce le cifre di un’ecatombe che si sta consumando e che nessuno vuol fermare: sono oltre 1.500 in poco più di due mesi le persone partite dai porti libici e mai approdate sull’altra sponda del Mare Nostrum. Stime che si basano sulle testimonianze dei sopravvissuti, parenti delle vittime e chiamate ricevute dalle imbarcazioni impegnate nelle traversate.
Un’ecatombe senza fine. Di fronte a questa immane tragedia l’Unione europea si limita a girarsi dall’altra parte. Eppure sono tragedie che riguardano la sponda Sud dell’Europa, che interessa diversi Stati dell'Unione (Italia, Spagna, Francia, Malta, Cipro e Grecia). Invece di prendere atto delle priorità imposte dall’epoca della globalizzazione e dalle conseguenze dei rivolgimenti del Maghreb, invece di mettere in atto un piano di emergenza per impedire le traversate della morte, distribuendo ruoli e funzioni tra i singoli Stati membri, organizzando politiche di soccorso, prevenzione e accoglienza, stipulare accordi bilaterali di pattugliamento, bilanciare i flussi occupazionali e rotte terrestri più sicure, Bruxelles ha altre priorità, preferisce occuparsi solo della difesa dei cetrioli contro il blocco imposto dalla Russia per via dell'emergenza del batterio "Escherichia coli". Prima di difendere le nostre verdure e i nostri interessi agricoli forse dovremmo pensare agli uomini. Altrimenti perché dovremme sentirci orgogliosi di essere europei?
Francesco Anfossi