23/01/2013
Berlusconi, Monti e Bersani.
A un mese esatto dalle elezioni politiche
nazionali e da quelle in tre Regioni
(Lombardia, Lazio e Molise) è possibile
elencare quattro caratteristiche di una “campagna”
come non se ne ricordano altre nella
storia della Repubblica. La prima è la compresenza
di tre candidati alla guida del Paese,
Bersani, Berlusconi e Monti, quando nei decenni
trascorsi fino al 1994 la nomina a Palazzo
Chigi era affidata alle procedure parlamentari
seguenti al voto popolare, mentre negli
ultimi 18 anni il duello anticipato era fra due,
Berlusconi e un suo temporaneo rivale (due
volte Prodi, che lo sconfisse).
La seconda novità è che di partiti in quanto
tali non ne è rimasto in campo che uno: il
Pd di Pier Luigi Bersani (anche se al suo interno
esistono scontri non da poco sia sui programmi
sia sulle future alleanze). Il Pdl di Silvio
Berlusconi è sostanzialmente un vuoto
ideologico in cui si agitano voci contrapposte
di “correnti” soprattutto personalistiche, trasformatesi
negli ultimi mesi in liste elettorali
distinte, mentre nel Popolo della libertà vero
e proprio è stata aperta fino all’ultimo la resistenza
alla rinuncia da parte di candidati “impresentabili”
dal punto di vista giudiziario.
Quello che conta è la presenza del Cavaliere,
la sua “campagna” radiotelevisiva davvero
impressionante.
Infine, Monti non ha dietro di sé un partito,
ma una convergenza di candidature provenienti
dalla società civile, culturalmente e
ideologicamente inclini a ritenersi non già
“moderate”, per raccogliere il voto dei ceti
medi, ma “riformiste”, secondo i precetti dello
stesso leader per un’Italia “nuova” da realizzare
attraverso una “scelta civica”.
La terza caratteristica di questa “campagna”
nuova rispetto al passato è che per la
prima volta conta moltissimo il Web, cioè il
dialogo ininterrotto fra alcuni milioni di cittadini
e i politici su Internet, il che fra l’altro
sembra poter spiegare il forte impatto sui
sondaggi dei nuovi “populisti”, da Grillo a Ingroia,
accanto a una finora inedita propensione
all’astensionismo.
La quarta (ma certo non ultima) caratteristica
del momento è la fortissima prevalenza della
questione fiscale nel dibattito programmatico
fra le forze in campo. Pagare le tasse non
piace a nessuno, tanto più quando continuano
ad aumentare (sotto forme diverse) e
quando non se ne vedono concretamente i
vantaggi per uno Stato e le sue Regioni, in cui
si manifesta una crescente incapacità di corrispondere
alle spese per i pubblici servizi.
Sotto le continue proteste (e promesse) antitasse
di Berlusconi e Maroni e le velate concessioni
di Bersani, il “Professore”, cioè il
maggiore accusato di tartassare gli italiani
con le imposte, ha parlato, al suo debutto nella
“campagna” domenica scorsa a Bergamo,
di una «misurata e graduale riduzione delle
tasse», senza riferimenti particolari. Vedremo
se gli basterà.
Beppe Del Colle