04/05/2012
Luigi Martinelli viene accompagnato fuori dall'agenzia di Equitalia in cui era entrato armato (foto del servizio: Ansa)..
Un imprenditore che si era riciclato imbianchino e continuava a lottare per uscire dalla morsa di una crisi economica spietata. Una cartella esattoriale di Equitalia arrivata, forse, nel momento peggiore. A qualcuno potrebbe spuntare la tentazione di dire: tutto qui? Per questo un uomo di arma (un fucile e due pistole), prende in ostaggio una serie di impiegati incolpevoli, spara in aria, minacciare di uccidersi prima di arrendersi ai carabinieri?
E' successo ieri nei pressi di Bergamo, in una zona in passato nota per la passione per il lavoro e per il conseguente benessere. Ma altrove succede anche di peggio. A Napoli, qualche giorno fa, un imprenditore si è suicidato: aveva 52 anni, si è
ammazzato a Napoli buttandosi dal balcone di casa. E prima di lui c’era stato il manager toscano che si era
buttato sotto il treno, l’artigiano emiliano che si era dato fuoco, il
rappresentante di commercio che si era sgozzato in bagno. Equitalia o non Equitalia.
Secondo Federcontribuenti,
sono almeno 18 gli imprenditori, gli artigiani e i dipendenti che si
sono tolti la vita perché alle strette con i soldi. Almeno, perché molte
morti auto inflitte non vengono denunciate come tali e restano
occultate nel dolore delle famiglie.
Da qualche tempo, però, giornali e Tv dedicano a queste
vittime (veri “licenziamenti economici” dalla vita, senza reintegro
deciso dal giudice) almeno un po’ di spazio, un po’ di pietà mediatica.
Non serve a nulla, però c’è. D’altra parte stiamo parlando di una strage: tra artigiani, commercianti, professionisti e piccoli imprenditori, sono stati censiti 336 suicidi nel 2010, e 343 nel 2009. In particolare, 192 tra commercianti e artigiani e 144 tra imprenditori e liberi professionisti.
L'agenzia di Equitalia in cui Martinelli si era barricato con gli ostaggi.
Sono i dati che ci fornisce il più recente Rapporto dell'Eures Ricerche Economiche e Sociali, intitolato Il suicidio in Italia al tempo della crisi.
Che però, onestamente, ci mette di fronte a una realtà che, chissà
perché, sembra quasi rimossa dalle analisi dei giornali ma anche degli
esperti. La categoria più colpita dall’epidemia di morte non sta tra
quelli che hanno un lavoro o un reddito e li stanno perdendo ma tra
coloro che il lavoro l’hanno perso o non l’hanno mai trovato: i disoccupati.
362 suicidi tra i disoccupati nel 2010, contro i 357 casi del 2009 che, dice il Rapporto, già costituivano un enorme aumento
rispetto ai 260 registrati in media nel triennio 2006-2008. L’indice
dei suicidi tra i disoccupati è di 17,2 ogni 100 mila; di 10 ogni 100
mila tra gli imprenditori; di 5,5 tra i lavoratori autonomi; e di 4,5 tra
i lavoratori dipendenti.
Non si tratta, è chiaro, di fare classifiche dell’infelicità e
della disperazione. Ma di riportare i piedi a terra forse sì. Perché il
lavoro precario e difficile e sempre più faticoso degli
imprenditori e degli artigiani di oggi è meno peggio
dell’assenza di lavoro. Cioè di una condizione fin troppo diffusa
(siamo quasi al 10% di disoccupati) e di cui si parla spesso con una
faciloneria assurda. Una condizione dolorosissima. Ancora oggi, checché
se ne dica, la più dolorosa in Italia.
Fulvio Scaglione