28/04/2012
Due tecnici cinesi lavorano a un modello in plastilina del corpo umano (foto Reuters).
Biondo, occhi azzurri, statura sul metro e settanta. Così recita la mia carta d'identità e scopro che sarei il modello ideale per l'eugenetica ambientalista che propone ora un bizzarro studio scientifico. Non per il colore degli occhi o dei capelli (peraltro ormai pochi!), ma per l'altezza, considerata ottimale in tempi di caos climatico.
Lo scrivono tre filosofi: S. Matthew Liao dell'università di New York, Anders Sandberg e Rebecca Roache dell'università di Oxford. L’idea trainante è che attraverso interventi genetici o trattamenti ormonali si potrebbero aiutare i neo-genitori a selezionare figli più piccoli e quindi dalla minore impronta ambientale: mangerebbero meno, consumerebbero meno energia richiedendo meno carburante per l’auto e meno tessuto per i vestiti, per citare alcuni esempi fatti dagli autori. Un’eugenetica forse diversa da quella pianificata da Adolf Hitler e Josef Mengele, ma pur sempre selezione genetica di esseri umani per rispondere a missioni salvifiche.
L'articolo, dall’inequivocabile titolo Human Engineering and Climate Change, compare su un numero di prossima uscita della rivista Ethics, Policy and the Environment. Bisogna puntare sulla manipolazione umana volta a ottenere modifiche biomediche che adattino l’uomo al cambiamento climatico e aiutino a mitigarlo, è la tesi dei tre autori, che analizzano anche le altre possibilità illustrandone a loro modo di vedere pro e contro.
Soluzioni politiche come il Protocollo di Kyoto non hanno dato i risultati sperati, poco più di un'aspirina per il pianeta malato. Soluzioni basate sul cambiamento di comportamenti individuali, ovvero incoraggiare la gente a usare meno l'auto e riciclare di più, sembrano di difficile applicazione e allora l'alternativa si riduce a geo-ingegnerizzazione o antropo-ingegnerizzazione.
La seconda sarebbe, secondo lo studio, meno pericolosa rispetto a pratiche come la fertilizzazione degli oceani con ferro per stimolare la moltiplicazione di plancton che consuma CO2, pur senza sottostimare i rischi sanitari ed etici di tale scelta, “comunque gestibili”. La scelta di selezionare i figli “a basso consumo” sarebbe infatti un'attività “volontaria, sostenuta possibilmente da incentivi fiscali o assistenza sanitaria gratuita”, nulla di coercitivo.
“Si tratta di un ottimo esempio di estremizzazione del dibattito scientifico e sociale, non c’è che dire, ma anche di una perfetta parabola dell’approccio tecnicista alla soluzione dei problemi di mal-sviluppo”, commenta Luca Colombo, coordinatore della Firab (Federazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica). Ci si domanda perché la giusta preoccupazione di modificare i nostri stili di vita per consumare meno e ridurre l'impatto sull'ambiente (quella che si chiama “impronta ecologica”), debba richiedere una soluzione aberrante basata sulla genetica.
“Siccome il consumo di carne rossa è responsabile della produzione eccessiva di gas serra e chi vuole rinunciarvi manca spesso della necessaria forza di volontà, si potrebbe stimolare il sistema immunitario a sviluppare una forma di intolleranza verso queste carni, come quella che molte persone hanno per il lattosio” scrivono Liao, Sandberg e Roache. Questo è solo uno degli esempi dello studio anglo-americano, ma quello forse più esilarante è il caso della ossitocina. Questo ormone, ritenuto responsabile tra le altre cose della capacità di empatia e di comprensione dello stato d'animo altrui, “se fosse più presente ci aiuterebbe ad essere più attenti anche ai problemi ambientali”. In sostanza, serve più amore per gli altri ma anche per il pianeta. E la soluzione sarebbe quella di aumentare, con tecniche ingegneristiche, la presenza di un ormone!
Gabriele Salari