08/03/2011
Quelli connessi alla gestione della Rai sono grovigli che non si possono sciogliere con le dita, e nemmeno tagliare con il coltello. Comunque si proceda, ad ogni ragione è collegato un torto. E viceversa. Parlando di rapporti fra magistratura e giornalismo, ben poco c’è da segnalare per la carta stampata (solo le intercettazioni) e molto, invece, per quell’anomalo organismo che è l’emittente pubblica. Anomalo perché elefantiaco, incerto nei poteri interni, fortemente condizionato dalla politica.
Già abbiamo avuto la clamorosa vicenda di Michele Santoro, che non riguarda solo la figura di un conduttore ma mette in crisi l’intera gerarchia interna. Santoro può trattare malamente il direttore generale e respingere ridendo le sue dissociazioni – goffe assai, peraltro – senza che nulla accada. Una sentenza del magistrato gli assicura il posto a vita. Qualcosa di simile, anche se diversi sono i comportamenti e le situazioni, accade adesso per Tiziana Ferrario. Rimossa dal direttore Minzolini e reintegrata dal giudice in quanto vittima di discriminazione e “volontà ritorsiva”, ossia di rappresaglia per il suo dissenso circa la linea del Tg1.
Il discorso è delicato e porta a conclusioni opposte, a seconda della visuale. Se si parla di ritorsione, è probabile che qualcosa di vero ci sia. Difficile che un direttore si sbarazzi di gente a lui vicina. Quindi è giusto che la Ferrario abbia fatto valere i suoi diritti. Però sono in gioco anche le prerogative della direzione (sarebbe da aggiungere, riguardo a Santoro: della direzione generale). Nemmeno questa è materia da sottovalutare. Esiste fra editori e giornalisti un contratto nazionale di lavoro, ed è a questo che converrebbe attenersi.
Non stiamo qui a valutare le motivazioni di Minzolini, opinabili seppure non infondate: 28 anni di conduzione sono tanti e chiudono la strada ai giovani, a Tiziana sono state offerte alternative di prestigio. Il giudice ha detto di no e le sentenze, commenta il prsidente Galimberti, vanno eseguite. Piuttosto c’è da interrogarsi su un dettaglio tutt’altro che marginale, il ruolo e la portata della conduzione in un Tg. Dove, una volta, bastava un signore dalla voce gradevole che leggesse il notiziario.
Un giovane conduttore, Giorgino, ha dichiarato tempo fa di sentirsi un anchorman, uno che influenza l’opinione pubblica. Beato lui, ma non è così. Era un anchorman il grande Cronkite che, constatando la disfatta in Vietnam, convinse gli americani ad andarsene. Tenta di esserlo da noi Enrico Mentana, che oltre ai fatti fornisce interpretazioni e opinioni. Gli altri, bravi e meno bravi, leggono come mezzo secolo fa delle cose scritte da altri. La loro popolarità deriva da fattori che non hanno nesso con la linea politica: bell’aspetto, simpatia, facondia o senso della misura. Quindi, per tornare alla Ferrario, né lei poteva condizionare in video Minzolini né Minzolini poteva temerne un reale influsso. Nell’una e nell’altro le motivazioni sono palesemente diverse: certo frizioni politiche e rancori interni, con ciò che ne deriva, ma anche questioni di principio. O magari divismo.
Una conseguenza comunque è inevitabile, tanto per rendere sempre più ingovernabile la Rai. Da oggi in poi ogni conduttore, se rimpiazzato come mezzobusto, potrà andare in tribunale, sbugiardare la direzione e annullarne l’autorità. Non solo nel Tg1.
Marin Faliero