23/06/2010
Il referendum sul nuovo piano di rilancio alla Fiat di Pomigliano si conclude così': 2888 si, contro 1673 no; 59 le schede nulle, 22 quelle bianche. Mancano pochi minuti alle quattro del mattino, quando arriva il dato definitivo: il 62,2% dei lavoratori dello stabilimento FIAT di Pomigliano d’Arco ha detto sI all’accordo proposto dall’azienda, e già sottoscritto da tutte le sigle sindacali ad eccezione della FIOM. Dei 4881 lavoratori aventi diritto, hanno votato in 4642: un’affluenza altissima (95%) segno dell’importanza di questo referendum per gli operai di Pomigliano.
È la conclusione di una giornata campale, iniziata all’alba con il primo turno di operai già “accompagnato” da telecamere e giornalisti. Marchionne si dice incerto se proseguire con il piano che vorrebbe porre qui la sede della linea di montaggio della Panda. In fabbrica, oggi, c’era da seguire un corso di formazione; un “escamotage” per consentire ai quasi 5mila dipendenti di essere presenti e votare. Al Giambattista Vico di Pomigliano, infatti, è da tempo che la produzione di autovetture procede a singhiozzo e che gli operai lavorano soltanto 4 o 5 giorni al mese. Il grande giorno del referendum è segnato dalle bandiere rosse dei rappresentanti del no e dalle facce tese degli operai che, all’uscita, sono restii a parlare e dichiarare le loro intenzioni di voto.
La sensazione è che chi ha votato si lo ha fatto, ingoiando il rospo ed aggrappandosi all’ultima speranza di salvare il posto di lavoro dopo due anni di cassa integrazione e uno stipendio dimezzato. In molti avranno votato pensando più all’affitto da pagare o ai figli da mandare a scuola piuttosto che alle tanto discusse restrizioni al diritto di sciopero o alle pause più brevi. Il si vince, dunque, ma non convince. Nei numeri è una vittoria larga, ma nella sostanza non è quella vittoria schiacciante auspicata da Marchionne e dalla casa torinese. Ora la Fiat ha formalmente il via libera per applicare l’accordo sottoscritto con i sindacati, trasferendo la produzione della nuova Panda dalla Polonia a Pomigliano. Ma il quesito che si pone è se il Lingotto riuscirà a “governare” un’azienda che presenta evidenti punti di tensione sindacale, come dimostrano le dichiarazioni rilasciate a caldo da Massimo Brancato, segretario generale della Fiom Napoli: “noi non sottoscriveremo comunque questo accordo perché illegittimo, perché anticostituzionale e perché cancella le norme del diritto del lavoro e del diritto alla salute. Noi, infatti, non abbiamo dato alcuna indicazione di voto: abbiamo solo suggerito ai lavoratori di andare a votare per non essere schedati dall’azienda”.
La Fiom non molla. Anzi corroborata da un inatteso 36% del no, rilancia: “noi volevamo fare una trattativa - spiega Brancato - ma la Fiat ci ha solo messi di fronte ad una scelta: prendere o lasciare. Noi siamo pronti a trattare, ma nel rispetto delle norme costituzionali ed europee; secondo noi si può applicare il contratto collettivo così com’è: basta solo riorganizzare il lavoro, anche su 18 turni, ma senza costrizioni dei diritti dei lavoratori. In questo modo riusciremmo anche a produrre 300mila vetture anziché le 280mila previste dal piano industriale Fiat”. È l’alba di un nuovo giorno a Pomigliano, ma oggi non ci saranno i 5mila operai di ieri; lo stabilimento torna vuoto e gli operai in cassa integrazione. Ora la palla passa di nuovo a Marchionne, che alla vigilia del voto aveva paventato la possibilità di bloccare l’investimento da 700 milioni di euro in mancanza di un’assoluta certezza del rispetto delle condizioni imposte. Tradotto, a Torino si aspettavano percentuali bulgare per il si… e ora come si comporterà la Fiat? Si “accontenterà” del 62%?
Giovanni Nicois