13/04/2013
L'ex ministro Giovanni Maria Flick (Ansa).
«La giustizia, se non unita alla carità, resta imperfetta, monca: una dimensione regolativa che scivola, progressivamente, nel legalismo». Così, Giovanni Maria Flick, ex ministro della giustizia del primo governo Prodi e presidente emerito della Corte costituzionale. Il problema delle carceri italiane è sotto la lente d’ingrandimento della Corte di Strasburgo e Flick lo sottolinea, intervenendo al Festival del volontariato di Lucca. L’ex ministro traccia un cammino parallelo tra la giustizia nell’ottica cristiana e in quella laica. E lo fa partendo da un’enciclica di papa Ratzinger: «La Caritas in veritate di Benedetto XVI ci ricorda che la giustizia, come il bene comune, è un principio orientativo dell’azione morale; ma aggiunge subito dopo che la giustizia deve essere inglobata in una concezione più completa, dell’amore/carità». E aggiunge: «Nella concezione cristiana la giustizia evolve dal simbolo della spada al simbolo della croce che vince e diventa il segno della giustizia nel cristianesimo».
Flick, nel suo intervento, ha sottolineato come le attività di volontariato possano risultare importantissime per un cambiamento in positivo della situazione delle carceri italiane: «Oggi il carcere è quasi una discarica sociale. I suoi unici obiettivi paiono essere indirizzati verso un’attenzione su assenza di rivolte e di fughe. E oltretutto, non sempre questo va come si vorrebbe. E la dignità dell’individuo? La situazione è addirittura paradossale se si pensa ai casi di due giudici che prima condannano al carcere ma poi, però, ammettono che la pena non può essere eseguita in forma dignitosa e per questo dicono che sarebbe meglio non mettere in carcere i condannati. Se guardiamo a tre elementi, capienza regolamentare, capienza tollerata e capienza effettiva, ecco che il problema carcerario del nostro Paese diventa un’emergenza su cui Strasburgo ci dà un anno ancora di tempo per provvedere».
La proposta di Flick è articolata: «C’è la possibilità per il volontariato di diventare un ponte tra il carcere e la realtà esterna. L’agenda Monti ignorava il problema del carcere. I saggi, dal canto loro, hanno parlato del sovraffollamento ma hanno ignorato la vera realtà del problema: il rapporto con il territorio, tra chi gestisce il carcere e le realtà locali, perché il passaggio dalla detenzione alle misure alternative all’esterno del carcere presuppone una rivoluzione culturale nel rapporto tra pena, carcere e società. Occorre creare un’osmosi tra carcere e realtà circostanti, una specie di federalismo nel decentramento della pena». E, conclude Flick, «per realizzare un quadro efficace di misure alternative e la loro accessibilità a tutti (anche ai clandestini e agli emarginati senza famiglia e senza protezione); per mantenere un dialogo ed un rapporto fra chi è dentro e chi è fuori, fra noi e loro, i diversi; prima ancora, per formare una coscienza del problema, che consenta di fare breccia nel muro dell’indifferenza e della paura: il volontariato, la sussidiarietà, la solidarietà e - a monte di essi - la misericordia rappresentano delle
componenti essenziali di un discorso di giustizia e di liberazione».
Manuel Gandin