23/10/2012
Il ministro del Lavoro Elsa Fornero (Ansa).
Non sempre il ministro del Lavoro Elsa Fornero riesce a conquistarsi la simpatia dei giovani. Certo, il suo è un ruolo difficile soprattutto in questo momento in cui tra disoccupati, inoccupati e precari il tema del lavoro scotta più che mai. Ma il ministro ha fatto spesso esternazioni che hanno creato critiche e polemiche: a volte si tratta solo di un problema di traduzione, altre volte è un fraintendimento, altre ancora ha espresso idee impopolari. L’ultima durante un convegno a Milano: «I giovani escono dalla scuola e devono trovare un’occupazione. Devono anche non essere troppo “choosy”, come dicono gli inglesi». Choosy, schizzinosi, esigenti. «Li abbiamo visti tutti dei laureati che stavano lì in attesa del posto ideale. Non è così, nel mercato ti devi attivare: devi entrare e magari migliorare, con la formazione, e devi metterti in gioco». Non ci stanno i giovani senza un lavoro, o con un posto precario e sottopagato, a sentirsi dare degli “schizzinosi”. E in rete, a cominciare da Twitter, si ribellano, con storie di laureati che si vedono sbarrare posti di manovalanza proprio perché troppo qualificati, trentenni specializzati che lavorano sabati e domeniche in un centro commerciale per poche centinaia di euro al mese, ragazzi che si ritrovano senza un posto o con un contratto che non garantisce i diritti di base. Il ministro si è subito corretto: «I giovani italiani - ha precisato - oggi sono disposti a prendere qualunque lavoro, tanto è vero che oggi sono in condizioni di precarietà. Ho detto che, in passato, qualche volta poteva capitare, quando il mercato consentiva cose diverse. Oggi i giovani italiani non sono nelle condizioni di essere schizzinosi».
Forse è stata una scelta infelice quella di usare un termine inglese, choosy. L’inglese non porta molta fortuna al ministro. Basta ricordare cosa è accaduto la scorsa estate dopo un’intervista al Wall Street Journal in cui ha dichiarato: «Il lavoro non è un diritto». E subito più di uno si è presentato Costituzione alla mano per ricordarle che sul lavoro si fonda la Repubblica e che l’articolo 4 lo definisce proprio così, un diritto. «L'attitudine della gente deve cambiare – aveva dichiarato nell’intervista -, il lavoro va guadagnato, anche con il sacrificio, non è un diritto». Subito la correzione dei suoi collaboratori: «Il diritto al lavoro è riconosciuto dalla Costituzione, il ministro parlava del posto di lavoro». “Work” invece che “job”, solo un problema di termini dunque. «Work isn't a right; it has to be earned, including through sacrifice».
Ma le frasi che hanno provocato polemiche non finiscono qui.
Lo scorso maggio, durante una videoconferenza sul Welfare, il ministro aveva suggerito agli uomini di collaborare di più in casa, soprattutto se sono le donne ad avere un lavoro: «La conciliazione fra casa e lavoro non è solo un tema femminile ma anche maschile: gli uomini dovranno fare di più in famiglia». Un consiglio di per sé giusto che, in quell’occasione, fu però interpretato come un’infelice suggerimento per mariti disoccupati che portò alla rivolta sui social network. E restano anche le gaffes forse più gravi dette da un ministro tecnico: come i dati ballerini sugli esodati o la “paccata di miliardi” da mettere sul tavolo della riforma del lavoro. Non l’aiuta neppure il suo viceministro Michel Martone che lo scorso gennaio era intervenuto a un convegno sull’apprendistato: «Dobbiamo iniziare a far passare messaggi culturali nuovi: dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni, sei uno (censura)... essere secchioni è bello». Anche in quell’occasione le reazioni indignate sono state bipartisan.
Eleonora Della Ratta