17/08/2010
L'ex capo dello Stato Francesco Cossiga è morto oggi alle ore 13.18 al Policlinico Gemelli. Era nato a Sassari il 26 luglio 1928.I funerali privati giovedì a Cheremule, paese di nascita dei genitori.
Conobbi Francesco Cossiga verso la metà degli anni Settanta. Ero un giovane dirigente nazionale del movimento giovanile della Democrazia Cristiana, il vivaio dei dirigenti dello scudocrociato. Cossiga, che gli amici famigliarmente chiamavano “Ciccio”, era un interlocutore naturale per i giovani: non aveva verità preconfezionate, era capace di ascoltare, non aveva nulla di ieratico che potesse tenere a distanza le persone, come invece tanti altri leader del tempo che conobbi come Andreotti, Fanfani ( il “nano”, come lo chiamavamo, era terribile). Aveva un tratto personale molto dolce che lo accomunava ad Aldo Moro, di cui era amico e discepolo, nonostante tutte le polemiche che seguirono alla morte e al rapimento dello statista ucciso dalle Br. Moro all’università (ero alunno del suo corso alla facoltà di Scienze politiche di Roma) era celebre per l’attenzione anche personale che aveva con tutti i suoi alunni e nel partito, spesso e quando poteva, trascorreva più tempo che poteva con noi.
Ricordo per esempio che una volta lo invitammo al seminario sulla Costituente, ma poi ci dimenticammo e così il giovedì sera lui arrivò e non trovando nessuno, aspettò per quasi un’ora fino a che il povero Paolo Giuntella, lo scomparso quirinalista del Tg1, si ricordò dell’appuntamento. Fu dolce anche quella volta. Anche Cossiga era così; spesso, mentre conversava, appoggiava la sua mano sulla tua come per rassicurarti. Io ne approfittavo alla grande perché nelle riunioni di partito la timidezza, in mezzo a tutta quella gente, mi mangiava. In quel tempo, parlo del 1976 dopo la rielezione di Benigno Zaccagnini alla segreteria del partito, ero stato eletto nel Consiglio Nazionale della Dc in rappresentanza dei giovani. Durante le sedute del Consiglio le correnti erano solite riunirsi per decidere la linea da adottare e in quei momenti si discuteva molto se aprire il Governo ai comunisti di Enrico Berlinguer per affrontare l’emergenza economica e sociale e il terrorismo del Br.
Berlinguer si era spinto molto avanti sulla linea del cosiddetto “compromesso storico” fra sinistra e cattolici. La gran parte degli ambienti internazionali erano contro e lo stesso Moro era stato avvertito del pericolo che quei passaggi non erano esenti da rischi e involuzioni pericolose. In una di quelle riunioni mi sedetti, come al solito, accanto a Cossiga che ogni tanto “battuteggiava” come suo solito con me su quel che dicevano i vari Giovanni Galloni, Giovanni Marcora, Virginio Rognoni, Ciriaco De Mita, Riccardo Misasi, Piero Bassetti, Luigi Granelli e tutti gli altri esponenti della Sinistra di Base, la corrente più politica della Dc. A un certo punto Cossiga, che era già ministro degli Interni, interruppe la discussione e disse sorridendo: “Ragazzi,non mettiamo in difficoltà Berlinguer. E non lo dico perché è mio cugino eh!”. Nella Dc si favoleggiava molto sulla parentela che univa molti esponenti politici sassaresi. I Cossiga, i Berlinguer, i Segni erano ( lo sono ancora per molti versi) storicamente le famiglie più importanti di Sassari; legati fra loro da parentele ed affinità di natura diversa come la massoneria che durante il Risorgimento annoverava fra i suoi adepti tutta l’élite liberale ed economica del Paese, quella di Sassari compresa.
I ragazzi di quelle famiglie si vedevano ogni estate sulle spiagge di Stintino e durante tutto l’anno frequentavano gli stessi ambienti e le stesse scuole, fra tutte il liceo dei Gesuiti. Ne ricordo tante di battute, malignità, supposizioni sui legami fra Cossiga e la massoneria. Lui negò sempre di essere iscritto personalmente, ma la sua conoscenza della massoneria nazionale e internazionale era vasta e profonda. Trapelava qua e là in battute ed analisi spesso molto più acute di tanti altri leader perché “ben informate” sugli equilibri internazionali. Non è un mistero per nessuno ad esempio che Aldo Moro, durante uno dei Governi da lui presieduti negli anni sessanta, diede proprio al sottosegretario Francesco Cossiga un ruolo importante nella storia di “Gladio”, quella sorta di legione segreta che sarebbe dovuta entrare in azione in caso di golpe comunista.
Molti altri hanno ipotizzato un suo coinvolgimento nella vicenda della Loggia massonica coperta “P2” alla quale erano iscritti anche l’attuale capo del Governo Berlusconi, Maurizio Costanzo e Fabrizio Cicchitto, tanto per citare alcuni nomi conosciuti bene dal grande pubblico. Il capo della loggia massonica Licio Gelli, ad esempio, era amico di persone molto vicine a Cossiga come Adolfo Sarti, Massimiliano Cencelli e Franco Mazzola, sottosegretario di Cossiga ai Servizi Segreti quando l’ex presidente guidò il Governo italiano alla fine degli anni settanta ( è di quel tempo anche la vicenda tuttora oscura dell’abbattimento del Dc9 dell’Itavia). E’ comunque un fatto che i capi dei tre servizi segreti italiani durante il rapimento e il sequestro di Aldo Moro erano iscritti alla loggia massonica P2 che fra i suoi intenti aveva quello di ostacolare in tutti i modi l’ascesa al Governo della sinistra.
L’interrogativo che restò per l’aria fu naturalmente il seguente: questi signori ostacolarono il ritrovamento di Moro sostenitore principale del Governo con Berlinguer, o cercarono in tutti i modi di salvare lo scomparso statista democristiano? Non ricordo onestamente critiche in questo senso da parte degli altri leader democristiani, né in privato né in pubblico. Il dolore di Cossiga davanti alla tomba di Aldo Moro fu grande e sincero. Molte mezze frasi sulla possibile negligenza di Cossiga riguardo agli uomini che frequentava invece, le ricordo, come anche quel senso sottile di ambiguità che accompagnò lo statista sardo dalla morte di Moro in poi. Un ambiguità ed un senso di sospetto che si rafforzarono ad esempio nella vicenda del terrorista Marco Donat Cattin figlio di Carlo, leader storico della Dc che fu avvisato dell’imminenza dell’arresto del figlio. Chi lo avvisò? Molti occhi si appuntarono sul presidente del Consiglio di allora Francesco Cossiga. Che si dimise.
Erano gli inizi degli anni ottanta ed avevo lasciato l’attività politica per il giornalismo, l’unica cosa che mi interessasse veramente. Cossiga era molto cambiato, molti di noi giornalisti parlamentari lo ricordano apatico e lontano, seduto sui divani di Montecitorio, afflitto da una depressione che lo rendeva irriconoscibile. Gli era molto vicino Adolfo Sarti, deputato piemontese coltissimo, gran favellatore, dotato di una simpatia contagiosa. Pian piano si riprese e nel 1985 fu eletto a stragrande maggioranza capo dello Stato proposto dal suo vecchio amico di corrente e Segretario della Dc di allora Ciriaco De Mita. Di quell’elezione ricordo nitidamente quel che mi raccontò successivamente Oscar Luigi Scalfaro, durante un tragitto in automobile da Viterbo a Roma, prima che fosse eletto Presidente della Repubblica a sua volta.
Scalfaro mi riferì che, nell’imminenza della seduta congiunta di Camera e Senato, Ciriaco De Mita gli chiese (Scalfaro era ministro degli Interni) se c’erano notizie ostative all’elezione di alcuni candidati alla massima carica dello Stato, fra i quali Cossiga. Scalfaro riferì quanto di dovere avendone in risposta una battuta di De Mita il quale, dopo aver letto le note riservate, gli disse: “Preparati tu”. Invece fu eletto Cossiga. Tralascio per doveri di riservatezza e per impegno a mantenere il riserbo, i particolari di quel racconto, ma il senso finale era che il Presidente doveva l’elezione al fatto che era “gradito” a tutti. Come dire? Quanto meno un’elezione ambigua. Aggiungo personalmente, senza con ciò coinvolgere Scalfaro, che in linguaggio politico ciò può avere tanti risvolti uno dei quali era che Cossiga fosse “controllabile da tutti” e viceversa.
Di più, ma solo in senso ironico, posso dire che dopo il periodo di presidenza, a Scalfaro e Cossiga furono assegnati uffici sullo stesso piano di Palazzo Giustiniani. Non mi risulta, per esperienza diretta, che i muri di quel piano registrassero saluti calorosi, che non aumentarono neanche quando arrivò il neosenatore a vita Giulio Andreotti. E figuriamoci Amintore Fanfani che di quel Palazzo fu a lungo dominus. Gli anni della Presidenza Cossiga, almeno fino alla caduta del muro di Berlino, furono per così dire “grigi”; le vignette satiriche lo ritraevano seminascosto dalle finestre del Quirinale che osservava spaurito come un coniglio bagnato tutto il battibecco politico. Ricordo anche che altri ironizzavano sul fatto che fosse un radioamatore. Dicevano di lui che, piuttosto che occuparsi fattivamente di ciò che accadeva, si rintanava nei sotterranei del Quirinale a parlare con i radioamatori di tutto il mondo.
Però, quando si svegliò, se ne accorsero tutti, e fu l’inizio della fine della Prima Repubblica. All’improvviso, subito dopo la caduta del muro di Berlino, Cossiga divenne “l’Esternatore”, “il Picconatore”, un pericolo per l’Italia, tanto che la sinistra coltivò a lungo l’idea (neanche molti democristiani restarono indifferenti all’ipotesi) di chiedere il cosiddetto “impeachment” e cioè la rimozione ingloriosa dalla carica ricoperta. Naturalmente non accadde nulla di ciò e a distanza di anni ancora ci si chiede perché Cossiga sfidò tutti, compresi i suoi amici di partito, alcuni dei quali dubitarono della sua salute mentale. L’ex Presidente invece stava benissimo e probabilmente aveva capito prima di tutti che la caduta del muro avrebbe provocato la frana che qualche anno dopo si portò via tutti i partiti della Prima Repubblica. Naturalmente la versione dei suoi critici fu come al solito che ciò si doveva alla natura ambigua dei suoi rapporti internazionali, una fama che poi Cossiga medesimo alimentò arricchendo la sua anedottica successiva con una serie di frasi allusive e sibilline che spesso sembravano più avvertimenti da decifrare che altro.
Ed è materia degli storici stabilire se quella da lui scelta fu la maniera migliore per intervenire nella situazione italiana prima di Tangentopoli. Chi scrive fra l’altro non vergò mai resoconti politici particolarmente lusinghieri nei confronti dello statista sardo durante quegli anni difficili. Cossiga fra l’altro aveva tagliato i rapporti con “Famiglia Cristiana”, si negava a qualsiasi intervista perché in un servizio della collega Franca Zambonini che lo seguì nei viaggi presidenziali, era stata pubblicata una foto della “Peppa”, la scomparsa moglie di Cossiga. Erano noti fra gli addetti ai lavori i rapporti fra il presidente e la sua consorte ed altrettanto nota la sua avversione a qualsiasi riferimento alla famiglia. Cossiga considerò quel gesto un’offesa. Il direttore mi incaricò a distanza di anni di intervistare l’ex presidente. “Proprio io?” replicai. Proprio io. Mi rispose personalmente al telefono ed ovviamente mi fece numerose rimostranze sia per la pubblicazione della foto che per gli articoli scritti durante la presidenza. “Non ero io Presidente!” replicai bugiardo. “E chi è allora lei?”. Ed io: “Ma presidente, si ricorda quel giovane che si sedeva sempre accanto a lei durante le riunioni della sinistra democristiana? Quello ero io”. “Ah! Perbacco che piacere dopo tanto…”. Mi rilasciò l’intervista.
Guglielmo Nardocci