13/04/2013
Il capo della Protezione civile Franco Gabrielli (Reuters).
Soddisfatto
per il passato più recente, speranzoso ma ugualmente preoccupato per
il futuro. Così si mostra il capo della Protezione civile, Franco
Gabrielli, al Festival del volontariato di Lucca. Di ritorno da
un’esercitazione della marina militare a Taranto (di cui è
sembrato entusiasta, durante la chiacchierata informale ospite del
Prefetto di Lucca, per un caffè accompagnato da qualche dolcetto di
una delle più rinomate e antiche pasticcerie della città),
Gabrielli ha tracciato un bilancio di questi ultimi due anni: «Quando
due anni fa dissi che eravamo come sul Titanic era perché supponevo
che le norme che il Governo Berlusconi aveva approvato avrebbero
portato molti problemi per la protezione civile. La legge 10,
infatti, metteva la Protezione civile sotto tutela del ministero
dell’Economia. Questo fu un errore e lo dissi chiaramente. La
dimostrazione arrivò, puntuale, con il disastro del Giglio prima e
con la grande nevicata dopo. La legge 10 non andava bene. Dalla legge
10 si è passati alla legge 100, che solo in parte ha migliorato le
cose e allora io mi auguro, con una battuta, che possa arrivare anche
una legge 1.000. Bisogna fare una scelta di campo precisa per la
protezione civile e darsi strumenti adeguati alle scelte che si
vogliono fare. Uno dei primi problemi da affrontare è quello dei
troppi Comuni che ancora non si sono dati un piano di protezione
civile».
E chi li ha, invece?
«Altro
guaio: chi li ha spesso non riesce a farli conoscere in modo
adeguato. Un secondo problema è quello della messa in sicurezza del
territorio, che non deve essere un problema della Protezione civile.
Ma se lo Stato non si occupa di questo problema, sarà un dramma e il
Paese si sgretolerà».
Mentre la cittadinanza
assegna un ruolo importante alla Protezione civile…
«Sì,
ma bisogna fare attenzione. Ho l’impressione che il tema della
protezione civile e della messa in sicurezza del territorio
interessino solo alla luce delle tragedie avvenute sul momento. E
d’altra parte basterebbe guardare la campagna elettorale: non ho
visto nell’agenda elettorale questo tema in alcun partito. In
sostanza: se in questi ultimi trent’anni abbiamo fatto passi da
giganti, molto va fatto ancora».
Nel
lavoro della Protezione civile la parte del volontariato è molto
alta. Basta o deve ancora essere implementata?
«Il
volontariato nella protezione civile è una componente fondamentale
che garantisce l’efficienza del sistema. Io immagino il
volontariato come una grande elemento di contaminazione. Tutte le
iniziative che mettiamo in pratica non debbono apparire come degli
spot e basta ma vanno fatte vivere con insistenza sul territorio.
Quindi, investire in volontariato è opera intelligente, sopratutto
in un Paese che ha molte difficoltà. Resta per me il vanto, in
questi tre anni, di non avere toccato un solo euro di finanziamento
alla voce “volontariato” della Protezione civile, nonostante i
tagli subiti del 56 per cento. E allora auspico che il Paese non
perda di vista quanto la Protezione civile sia un’eccellenza
d’Italia. Non va dimenticato che il nostro modello di Protezione
civile è invidiato da tutti».
Sui grandi disastri del
Paese, cosa si può fare?
«Noi,
da quella serata del novembre 1980, il terremoto in Irpinia, non
abbiamo più avuto grandi eventi tragici, ma solo, mi si conceda di
definirli così, “terremotini”. Questa è la realtà. Certo, sono
episodi che portano rovine e tragedie, ma niente a che vedere con
l’ultimo vero grande episodio sismico, quello dell’Irpinia, con
migliaia di morti. Sono passati più di trent’anni e non dobbiamo
nascondere la realtà: prima o poi, un nuovo grande terremoto
avverrà. Non sappiamo quando, dove, a che ora, ma avverrà. Ecco
perché dobbiamo prepararci e lavorare per prevenire».
Manuel Gandin