12/06/2011
Camogli (Genova). L'arrivo in porto di una barca di pescatori (foto: Paolo Siccardi/Sync).
Oggi come ieri dipende dalle stagioni, dalla luna, dal tipo di pesce che si vuole tirar su. In mare non si timbra il cartellino. Uno si gestisce l’orario come meglio crede, posto che le opportunità di guadagno sono direttamente proporzionali alla capacità di sacrificio. «In questo periodo, ad esempio, esco tra le 20.30 e le 21 con le luci che servono per attirare sotto la barca totani e cavalle, un particolare tipo di sgombri. È la pesca alla lampara. Mi regolo in modo che quanto finisce nelle reti sia al mercato ittico di Genova alle 5 del mattino», spiega Simone Gambazza, 64 anni, figlio di un muratore emiliano trasferitosi in Liguria, oggi presidente della Cooperativa pescatori di Camogli, che conta una trentina di soci. Gli è accanto suo fratello Ettore, 61 anni. «L’amore per il mare ce l’hanno trasmesso i nonni», precisa. «Non è più la vita grama di una volta, anche se la tecnologia non azzera
la fatica. Ci vuole tanta passione, ecco».
Camogli. Simone Gambazza (foto: Paolo Siccardi/Sync).
Slow Fish ha lanciato l’allarme proprio pensando a
lui e a quelli come lui: c’è una specie in più da proteggere, è quella
dei pescatori. Sul finire di maggio, in una Fiera di Genova impreziosita
dai saperi e dai sapori del mare, la manifestazione promossa da Slow
Food ha tracciato l’identikit di chi vive più su un’imbarcazione che a
casa propria. In Italia, nonostante un lieve aumento
della presenza di donne e stranieri, il numero complessivo dei pescatori
sta calando.
Secondo il Centro studi di Lega pesca,
infatti, nel periodo 2002-2007 chi opera in questo settore è passato da
33.177 a 28.542 unità. L’età media oscilla tra i 41 e i 43 anni, ma
tende ad aumentare perché i giovani che prendono il largo sono pochi,
sempre meno. «Mio figlio, 28 anni, che pure ha studiato al Nautico, ora
lavora con me», dice invece, con orgoglio, Simone Gambazza,
centellinando le parole, abituato com’è al silenzio rotto solo dallo
sciabordio delle onde sulla chiglia.
Da sinistra: Ilaria Vielmini, Maddalena Fava e Valentina Cappanera (foto: Paolo Siccardi/Sync).
La sua è una vita passata sul mare del Tigullio,
declinando la pesca al plurale. Perché i modi di farla sono più d’uno.
Una particolare citazione merita la Tonnarella di Camogli, diventata un
nuovo Presidio di Slow Food, sostenuto dal progetto "Mareterra di Liguria" della Fondazione Carige. Anche lì i fratelli Gambazza sono di casa.
«Sebbene le prime notizie documentate sul suo conto risalgano al 1600,
si ritiene che la Tonnarella esista dal 1300», affermano Ilaria Vielmini, Maddalena Fava e Valentina Cappanera, tre biologhe
marine che hanno dato vita all’associazione culturale Ziguele, termine
che, in genovese, indica pesciolini colorati, noti comunemente come
“donzelle”.
«A differenza delle tonnare più grandi e più famose
esistenti altrove, quella di Camogli non serve più a catturare tonni»,
precisano le biologhe. «Siamo nell’area marina protetta di Portofino,
dove la pesca è ammessa a determinate condizioni. Lo sbarramento, lungo
340 metri e profondo da 10 a 40 metri, è più che mai biodegradabile, dal
momento che è tessuto con fibra di cocco: viene calato ad aprile e
tolto a settembre. Serve a incanalare, intrappolandoli, esemplari adulti
di specie migratorie che possono essere ricciole, palamite, sugarelli,
boghe, occhiate, tombarelli. I pescatori, in questo caso, escono alle
3.30-4 e smontano alle 18».
Pescatori al lavoro nella Tonnarella di Camogli. Tra loro, anche tre romeni che per sei mesi fanno i taxisti a Bucarest (foto: Paolo Siccardi/Sync).
È giorno fatto quando, nella Tonnarella, braccia
robuste issano reti ecocompatibili gonfie di pesce di passo. Tra gli
altri, ecco Giorgio Fiorentini, 46 anni, un tempo
litografo: «Complice la crisi dell’editoria, d’accordo con mia moglie ho
deciso di trasformare una passione in lavoro. Ho pure comprato un
gozzo, così continuo a pescare da ottobre a marzo». Ci sono anche tre
romeni. Ionut Buruleanu ha 23 anni,
Gheorghe Costache 24,
Ion Niculescu 55: «Per sei mesi facciamo i
taxisti a Bucarest, per il resto dell’anno siamo qua».
«Non
possiamo che parlare bene di loro e degli altri», dice Mario
Mortola, direttore della Cooperativa pescatori di Camogli.
«Unendo le forze, facciamo sì che la burocrazia non diventi soffocante.
Riforniamo direttamente i mercati: così si guadagna ancora. Alcuni
ragazzi, però, cresciuti con noi, vanno poi su rimorchiatori, bettoline o
yatch. Posti meno faticosi, più garantiti, meglio retribuiti.
Fortunatamente c’è chi persevera».
Guglielmo Volpe, sulla sua barca Furore IV, a Sanremo (foto: Paolo Siccardi/Sync).
Dall’altra parte della Liguria, a Ponente, a
Sanremo, a bordo della sua barca, Furore IV, Guglielmo
Volpe, 51 anni, abbraccia i due figli maschi, Pietro, 26 anni, e Loris, 16 a settembre. Il
primo lavora già con lui; il secondo lo farà, prima o poi. «Sono nato in
Liguria da una famiglia di pescatori siciliani. Ho scelto la via della
società familiare; a terra, mia moglie Isabella mi dà una grossa mano,
abbiamo i nostri clienti, singoli e ristoranti. Siamo un po’ come i
contadini nelle campagne, teniamo puliti i tratti dove lavoriamo.
Tiriamo su di tutto, dai copertoni alle bottiglie di brandy. Oggi il computer governa i verricelli per le reti e il Gps ti
dice dove sei, anche se io mi oriento a occhio nudo. Certo
rimane il fatto che ti svegli alle 3 e vai a letto, se va proprio bene,
alle 22».
«Io mi tengo libero il week-end», sorride Pietro. «Per il
resto mi sta bene così. Alcuni amici dicono: meglio prendere 1.200 euro
al mese ma vivere una vita normale che guadagnarne 1.500 facendo la tua.
Io non cambio. Vuol mettere il senso d’infinito che provo là, al
largo?».
Alberto Chiara