17/11/2012
Un civile israeliano cerca riparo mentre le sirene lanciano l'allarme (Reuters).
Da Gerusalemme
Le sirene, a Gerusalemme, risuonano quando c'è una esercitazione della protezione civile. Suonano quando ci sono ricorrenze particolari, come il giorno in cui si ricorda la Shoah. E gli israeliani di Gerusalemme, sino a poco tempo fa, a quelle sirene erano abituati, tanto da rimanere indifferenti al loro suono cupo e ansiogeno, e a non uscire neanche dai negozi nel caso di una esercitazione.
Stavolta, però, è tutto diverso. Le sirene suonate ieri preannunciavano un razzo, un razzo lanciato da Hamas. È stata la stessa ala militare a rivendicare il lancio con un Tweet, in quella che si sta configurando come la prima guerra 2.0 combattuta anche (e purtroppo non solo) nella dimensione virtuale di Twitter. Il messaggio diceva: "Le Brigate Al Qassam hanno lanciato due missili artigianali M75 verso Gerusalemme occupata".
Non accadeva dal 1970. Gerusalemme non era più nel novero dei bersagli da oltre quarant'anni. Non solo: tutti ci siamo illusi che Gerusalemme non potesse essere obiettivo, perché la sua santità e la sua stessa dimensione mitica le facevano da scudo. Santa per tutti: ebrei, cristiani, musulmani. Santa in tutti gli immaginari, compreso l'immaginario di chi, a Gaza, non avrebbe mai avuto il permesso dagli israeliani di uscire dalla Striscia e andare a pregare alla Moschea di Al Aqsa: Al Aqsa e la Cupola della Roccia sono in tutte le case, le istituzioni, i ministeri di Gaza.
Gli effetti della reazione di Israele su alcune costruzioni palestinesi (Reuters).
Gerusalemme era stata tragico bersaglio degli attentati suicidi compiuti
da tutte le fazioni palestinesi, che avevano colpito la città nel
settore israeliano, e non a Est o nella Città Vecchia. Cosa è cambiato,
dunque, oggi? È che Gerusalemme non ha solamente una dimensione mitica
che riguarda la sua santità, ma che riguarda - con eguale rilevanza - il
suo significato politico. Soprattutto di identità nazionale.
Gerusalemme è anche prosaica, insomma, e questo la rende - di nuovo - un
unico bersaglio. Senza differenziazioni al proprio interno.
Il fatto è che, però, quel razzo non è caduto a Gerusalemme. È caduto in
Cisgiordania, a poca distanza da Gerusalemme. È caduto all'interno del
più importante blocco di colonie israeliane tirato su negli anni tra
Gerusalemme, Betlemme e Hebron. È caduto - sembra - vicino alla colonia
dove risiede il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. È caduto,
insomma, in piena Palestina. E da Ramallah molte poche reazioni si sono
sentite.
È come se l'Autorità nazionale palestinese sia rimasta annichilita dallo
scoppio di questa nuova, ennesima, tragica guerra di Gaza. Come se non
riuscisse a reagire con prontezza e agilità politica a una situazione
delicata e difficilissima, che mette ancor più a rischio la stessa
tenuta delle istituzioni dell'Anp, già provate da anni di divisione tra
Hamas e Fatah.
Il pericolo, insomma, non risiede solo nelle decine di
morti palestinesi di Gaza che già si contano per i martellanti raid
israeliani, e nella tragedia umanitaria in corso nella Striscia.
Il rischio è anche in Cisgiordania, perché il tappo della frustrazione,
della crisi economica e sociale, della sofferenza della popolazione
provata dalla occupazione israeliana salti del tutto. Ed esondi per le
strade di Ramallah, Nablus, Jenin, Betlemme.
Paola Caridi