11/03/2013
Ishinomaki dopo l'onda devastatrice.
il 10 marzo 2011 per i giornalisti della redazione di Ishinomaki Hibi Shimbun, fu un giorno come un altro.
Lontani dall'eccitazione delle breaking news internazionali, tutti i redattori e i fotografi erano impegnati a coprire l'attualità e i piccoli eventi locali per questo quotidiano distribuito in 10 mila copie a Ishinomaki e dintorni, con quella composta e pacata fierezza di chi fa ogni giorno il proprio dovere.
Nessuno di loro poteva anche lontanamente immaginarlo: la tragedia che si sarebbe scatenata il giorno dopo sulla città e su tutta la costa Nord del Giappone, avrebbe fatto di questa piccola redazione una roccaforte di eroismo e del loro giornale il simbolo di una devozione esemplare per la propria professione, un esempio che non doveva limitarsi alla stampa giapponese, ma che sarebbe stato valido per i media del mondo intero, e avrebbe oltrepassato la sfera della professionalità, per diventare un riferimento nel modo che ognuno ha di affrontare il difficile mestiere di essere umano.
La redazione del'Ishinomaki Hibi Shimbum nei giorni dopo lo tsunami.
Il giovane reporter Kumagai Toshikatsu l'11 marzo 2011 stava realizzando un servizio sulla costa. Lo
tsunami lo ha travolto e si é ritrovato in trappola contro la parete di
una casa che stava crollando, l'acqua fino alla cintola. Si é
aggrappato a un grosso detrito trascinato dall'onda e si é lasciato
andare nella corrente. Questa lo ha portato violentemente prima
nell'entroterra, fra le risaie, poi lo ha rigettato verso il mare
aperto. Cosí Toshikatsu ha trascorso la notte, le braccia anchilosate
strette attorno alla sua zattera di fortuna, rischiando ad ogni istante
di morire annegato, o di cedere al freddo che penetrava nel corpo.
Attorno a lui, famiglie intere erano portate via sui tetti delle loro
case, strappati dalla furia dell'acqua.
Con quelle immagini sconvolgenti davanti agli occhi, il ragazzo non ha
scordato nemmeno per un istante il suo ruolo di reporter. Senza
apparecchio fotografico, Toshikatsu sentiva che la sua memoria avrebbe
dovuto registrare tutto ciò che stava accadendo perché potesse essere
capace di trasmetterlo e di informare. E cosí ha fatto, una volta che,
la mattina seguente, un elicottero lo ha ritrovato e portato al sicuro.
Salvo che la maniera per informare non sarebbe più stata la stessa.
La redazione, lavora alla luce della candela.
Yokoi Yasuhiko, un collega di Toshikatsu, si trovava in ufficio al momento del terremoto. Tutto
precipitò a terra intorno a lui e di lí a poco, l'onda mostruosa invase
la sala delle rotative, distruggendole.
La redazione venne ridotta a un ammasso di cose informi. Tutto ciò che
fino a qualche momento prima era strumento di lavoro, si era trasformato
in frammenti indefiniti, taglienti, appuntiti, pericolosi, armi
minacciose in mano ai sobbalzi della terra impazzita e al mare torbido
che spazzava vite.
Ishinomaki Hibi Shimbun avrebbe potuto morire lí e certamente
nessuno avrebbe avuto da ridire se i giornalisti si fossero occupati
delle famiglie disperse o delle loro abitazioni inghiottite dai gorghi
come castelli di carta. Ci sarebbero stati altri media venuti da
altrove, a raccontare cosa era successo a Ishinomaki. Ma quella era la
loro città, quella era la loro gente e quello il loro giornale. E la
missione della redazione doveva essere quella di continuare a informare,
nonostante tutto e a causa di quel tutto.
La redazione con il giornale scritto a mano.
Quando il fatalismo si allea alla tenacia, il sangue freddo con cui si
affrontano gli eventi può dare grandi idee.
Non c'erano più computer, né elettricità, non c'era più carta, né
rotative per stampare. Ci siamo mai chiesti, nel nostro mondo
superinformatizzato, cosa accadrebbe dopo un black out generale? Ci
chiediamo con sufficiente puntualità quanto il progresso abbia attinto e
risucchiato all'essenza delle nostre esistenze? I giornalisti
dell'Ishinomaki hanno dovuto chiederselo e hanno deciso che di fronte
alla loro voglia di esistere, non c'erano tsunami, né black out, né
terremoti che potessero impedire alla loro volontà di agire.
Non c'era carta? Bene. A terra, fra i detriti, di carte e documenti
distrutti ce n'erano fin troppi, bastava salvare i pezzi sani e
utilizzarli per supporto alla scrittura. Non c'erano rotative e i
computer erano fuori uso? Sappiamo pur sempre scrivere a mano , no? E
cosí é stato.
Per settimane, alla luce di candele, su pezzi di carta riciclati dalle
macerie, i redattori hanno scritto a mano copie e copie di giornale, e
poi, affinché le informazioni raggiungessero la gente, sono andati in
giro per la città tramortita e semisommersa, ad appendere i loro
"quotidiani fai da te" su pezzi di cartone, ovunque le persone si
potessero riunire per leggere: centri di accoglienza, ospedali, centri
di distribuzione alimentare, pali della della luce e muri delle case,
ovviamente quelli ancora in piedi.
Leggere il proprio giornale quotidiano é stato di grande aiuto per gli
abitanti di Ishinomaki. Per loro voleva dire che la vita stava andando
avanti malgrado tutto e che avrebbero dovuto fare altrettanto. Ogni
giorno, ritrovarsi davanti ai "giornali fai da te" diventò un
appuntamento irrinunciabile, un rituale, un'abitudine che rinasceva fra
le mille piccole abitudini con cui si tesse una vita e che erano state
lacerate per sempre. Cosí Ishinomaki é tornata a vivere, grazie al suo
piccolo quotidiano locale.
Il giornale appeso per strada per informare i sopravvissuti e Ishinomaki dopo l'onda devastatrice...
I giornalisti sono stati onorati da premi internazionali a Parigi, Washington e Taipei.
Oggi, tutto il Giappone ricorda la tragedia che due anni fa ha
sconvolto il Paese. nelle regioni devastate, nonostante la
ricostruzione abbia proceduto a ritmo di record, nonostante i
pescherecci punteggino di nuovo la costa e le cittadine siano tornate
timidamente a vivere, numerose "no man's land" di terreni abbandonati e
detriti, sorgono qua e là come oasi tristi, desolanti nel loro grigiore
come frammenti di vecchie fotografie di un tempo cancellato per sempre.
A Rikuzentakata, sulla costa di Sendai, resiste solo un pino fra le
centinaia che impreziosivano il litorale, nella cittadina di Kesennuma,
un gigantesco cargo trascinato per mezzo chilometro nell'entroterra
vorrebbe essere trasformato dalla municipalità in un monumento alla
memoria, ma una parte degli abitanti si oppone, il dolore é ancora
troppo vivo, troppo pesante da sopportare.
Decine di migliaia di giapponesi hanno sfilato nel fine settimana a
Tokyo per ricordare al Primo Ministro Shinzo Abe le troppe bugie
dette su Fukushima, sulla tragedia nucleare e sugli effetti di cui non
si parla più abbastanza. La regione in cui sorge la centrale nucleare , é
un mosaico di città fantasma e di terre sterili, lo sarà ancora per
decine di anni e gli effetti saranno risentiti ancora per generazioni.
Sono passati due anni dallo tsunami, ma, é il caso di dirlo...sembra
ieri.
Eva Morletto