04/05/2011
Chissà se ha ragione Mario Vargas Llosa, premio Nobel per la letteratura, quando definisce “terrificante” il linguaggio dei giovani. E chissà quali ragioni, torti, concessioni e irrigidimenti ispirano le molte decine di lettori che, su questo blog, hanno commentato un articolo di Francesco Anfossi sulla scuola italiana.
Il romanziere peruviano prende spunto dal lessico di Twitter e Facebook per denunciarne la barbarie sintattica: e leggendo pure da noi “xké” al posto di “perché” e “tvb” come sintesi di “ti voglio bene”, vien da chiedersi se non stiano tornando in voga i caratteri cuneiformi in uso fra Ittiti e Sumeri, quando la parola faticava a trovare una espressione grafica. Solo che da allora sono trascorsi cinquemila anni, quanto basta per approdare a un linguaggio debitamente articolato.
Inoltre, uscendo dagli scambi di messaggi su Internet, sono anche da ascoltare quei docenti che giudicano di livello primitivo non solo i temi di scuola media ma gli stessi elaborati degli studenti universitari. Non sarà magari vero che, tesi appunto di Vargas Llosa, “se scrivi e parli così è perché pensi così, e se pensi così è perché (xké) pensi come una scimmia”. Qui siamo evidentemente all’eccesso letterario, per amor di tesi. Ma è un fatto, rimanendo in Italia, che la nostra lingua viene parecchio maltrattata. In alto e in basso.
Veda dunque il lettore di scorrere l’ottantina di pareri espressi dopo l’intervento di Anfossi (titolo, “Il Cavaliere e i prof bolscevichi”). Come l’articolo prendeva spunto dall’attacco di Berlusconi agli insegnanti politicizzati, così dalle reazioni è emersa una lotta tra fautori e critici del premier, tuttavia con un obiettivo supplementare e una lacuna. L’obiettivo, chiamiamolo così, è di colpire la classe insegnante imputandole stipendi troppo alti (!) a paragone della scarsa fatica: orari ridotti, ferie lunghe ecc. La lacuna consiste nel non chiedersi, politica a parte, che cosa imparino effettivamente i nostri ragazzi. A cominciare, ovvio, dalla linga italiana.
Nemmeno i docenti che hanno invaso questo blog, nella loro difesa documentata oltre che appassionata, sembrano porsi il problema. Pochi soldi, molto lavoro, libri di studio disonesti o imparziali: nient’altro o quasi. In sintesi, un professore fa il suo dovere e non lavora meno di un operaio o un impiegato. Ma è solo su questo che si deve discutere? In una società evoluta, interrogarsi sui livelli culturali è argomento che non merita di essere ridotto né a guerra fra classi né a concezioni corporative. Stiamo parlando dei nostri ragazzi: senza le esagerazioni antropomorfe di Bargas Llosa ma, certo, non senza allarme. Se davvero anch’essi parlano come scrivono, e pensano come parlano, non saranno delle scimmie. Ma se almeno in qualche misura questo è vero, ci sarà un perché. Anzi, un “xké”.
Marin Faliero