Grecia, la tragedia perfetta

Che succede se Atene esce dall'euro? Non sarà una passeggiata ma un'operazione molto dolorosa. E anche l'Italia ne subirebbe le conseguenze.

16/05/2012
Al centro, il leader della Syriza, Alexis Tsipras (foto sopra e di copertina: Reuters).
Al centro, il leader della Syriza, Alexis Tsipras (foto sopra e di copertina: Reuters).

Angela Merkel e François Hollande continuano a giurare che vogliono tenere la Grecia dentro Eurolandia. Ma intanto Atene è più di là che di qua: nonostante il 75 per cento dei greci si dichiari favorevole alla moneta unica europea, i partiti usciti dalle ultime elezioni, come topi impazziti, non sono riusciti a mettersi insieme per formare uno straccio di governo. La Syriza, il partito di Alexis Tsipras contrario a ulteriori sacrifici, vola nei sondaggi al 20 per cento. E l’annuncio di nuove elezioni non promette nulla di buono, come hanno capito i mercati. Quella che si prospetta è una vera e propria tragedia perfetta, perchè il ritorno ellenico alla dracma, anche se guidato e condotto secondo i modelli economici e finanziari prospettati, sarebbe molto, ma molto doloroso. E non sarebbe una passeggiata nemmeno per il resto d’Europa, ad eccezione (forse) della Germania. Proviamo a delineare quel che accadrebbe.


La dracma è morta, viva la dracma. Il giorno dopo l’annuncio della bancarotta e l’uscita dall’euro le banche verrebbero tutte nazionalizzate. La liquidità alle imprese potrebbe cessare. La Banca di Grecia tornerebbe a stampare dracme. Il tasso iniziale sarebbe quello del changeover del 2002: 340,75 dracme contro un euro. Ma è destinato a rimanere tale per una manciata di secondi, poichè per effetto del fallimento la nuova (vecchia) moneta greca sarebbe destinata a svalutarsi. Di quanto? Nessuno lo sa: le stime vanno dal 40 al 70 per cento. Vuol dire che un impiegato che guadagnava duemila euro al mese, per effetto dell’inflazione ora ha un potere d’acquisto che va  da 1200 a 600 euro, a seconda della svalutazione. Salirebbero i prezzi delle materie prime e molte altre fabbriche, già impossibilitate ad accedere ai crediti, potrebbero chiudere, scaricando sul mercato altri disoccupati (i senza lavoro in Grecia sono già oltre il 20 per cento). Le famiglie si impoverirebbero per l’aumento di gas, benzina, generi di consumo e via dicendo. La svalutazione, come è noto, facilita l’esportazione, ma di aziende in Grecia ce ne sono poche. Forse potrebbe giovarsene l’impresa del turismo. Ma a che prezzo?


Code agli sportelli e pianti greci. La gente farà di tutto per mettere quel che ha risparmiato in euro sotto il materasso, in attesa di tempi migliori. Per evitare code agli sportelli i bancomat verrebbero sigillati, il prelievo subirebbe un limite di cento, duecento euro. Le frontiere dovrebbero essere chiuse per evitare fughe di capitali, ma chiudere le frontiere in Grecia è come tappare un colabrodo. Chi possiede titoli di Stato greci li potrà usare solo per asciugarsi le lacrime di un bel pianto greco, perché varrebbero carta straccia. Lo Stato, che, teoricamente, in caso di fallimento dovrebbe vendersi anche gli aerei della compagnia di bandiera, farebbe molta fatica a vendere titoli, visto che nessuno avrebbe più fiducia in un prossimo rimborso. Per pagare stipendi e pensioni potrà solo aumentare le tasse. Il Pil, è stato calcolato, andrebbe giù del 20 per cento. E soprattutto addio ai 130 miliardi di aiuti promessi dalla Trojka (Unione europea, Fondo monetario internazionale e Banca Centrale Europea).


E in Europa? Se Atene piange Bruxelles non ride. Anche per noi non sarebbe tutto rose e fiori. Il conto per Eurolandia è stato calcolato in mille miliardi di euro. Innanzitutto gli investitori comincerebbero a domandarsi chi è il prossimo della lista. Il Portogallo? L’Irlanda? La Spagna? E dopo questi tre, forse l’Italia? Too big to fall? Non è detto. Non era nemmeno immaginabile pensare che un Paese dell'Unione uscisse dall'euro fino a qualche mese fa. Quel che è certo è che tanto per cambiare, verremmo travolti da un’ondata speculativa, lo spread andrebbe alle stelle, le banche che hanno titoli greci, nel frattempo divenuti cartastraccia, verrebbero danneggiate da crediti inesigibili le solite agenzie di rating potrebbero declassarci il debito rendendo vani tutti i pesantissimi sacrifici finora fatti, crollerebbe la fiducia, ci sarebbe una fuga di capitali dall’interno e dall’esterno, con la corsa ai beni rifugio (bund, oro, franco svizzero).


La Germania, come sempre. Tutto questo significa una recessione ancor più pesante di quella in cui ci troviamo. Nell’occhio del ciclone, ovvero in Germania, regnerebbe la calma perfetta. Ma alla fine anche il regno di Frau Merkel ne subirebbe le conseguenze. Curioso, ma non troppo, che tutto ciò che accade in Europa, storicamente, alla fine finisce sempre per dipendere dalla Germania.

 

 

Francesco Anfossi
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Postato da martinporres il 16/05/2012 18:42

Antonis Samaras, leader del partito conservatore N.D., ha voluto il voto anticipato subito dopo la caduta del governo di Giorgos Papandreou e la formazione, nel novembre scorso, di un esecutivo di unità nazionale guidato da Lucas Papademos, senza aspettare la fine della legislatura, nell'autunno 2013. Samaras sperava di guadagnare voti ai danni dei socialisti del Pasok, ed è a lui che va attribuita la maggior parte della responsabiltà del caos provocato dal voto del 6 maggio. Mi sembra che Alexis Tsipras leader di La Syrizia, pur su sponde politiche opposte, abbia molto in comune con Antonis Samaras in quanto ad ambizione personale insaziabile e ad irresponsabilità, rischiano di portare la Grecia e l'Europa al disastro. E magari di riconsegnare la Grecia ai militari.

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