Herat, in memoria dei caduti: tutti

La morte per incidente di tre soldati italiani suscita dibattito e causa qualche polemica: esistono vittime di serie A e vittime di serie B? Guai a fare una classifica del dolore.

23/02/2012
 L'arrivo all'aeroporto militare di Ciampino del C-130 che ha trasferito in Italia le salme del Caporal maggiore capo scelto Francesco Currò, del Caporal maggiore scelto Luca Valente e del Caporal maggiore scelto Francesco Paolo Messineo, morti il 20 febbraio in  Afghanistan. Foto Ansa.
L'arrivo all'aeroporto militare di Ciampino del C-130 che ha trasferito in Italia le salme del Caporal maggiore capo scelto Francesco Currò, del Caporal maggiore scelto Luca Valente e del Caporal maggiore scelto Francesco Paolo Messineo, morti il 20 febbraio in Afghanistan. Foto Ansa.

Sono morti annegati nei pressi di Shindand, nell'Afghanistan occidentale. Stavano cercando di portare aiuto a un'unità bloccata da avverse condizioni metereologiche. È successo il 20 febbraio, quando il Lince su cui viaggiavano si è ribaltato mentre attraversavano un corso d'acqua. Tre militari dell'equipaggio sono rimasti intrappolati ed hanno perso la vita; uno è rimasto ferito. I caduti sono il caporal maggiore capo Francesco Currò, nato il 27 febbraio 1979 a Messina, il primo caporal maggiore Francesco Paolo Messineo, nato il 23 maggio 1983 a Palermo, e il primo caporal maggiore Luca Valente, nato l'8 gennaio 1984 a Gagliano del Capo (Lecce). Appartenevano tutti al 66/o Reggimento fanteria Trieste che ha sede a Forlì ed è nella Brigata aeromobile Friuli.

I 49 italiani morti in Afghanistan dal 2004 ad oggi. Nelle foto più grandi a destra, dall'alto: Paolo Francesco  Messineo,  Luca Valente, Francesco Currò. Foto Ansa.
I 49 italiani morti in Afghanistan dal 2004 ad oggi. Nelle foto più grandi a destra, dall'alto: Paolo Francesco Messineo, Luca Valente, Francesco Currò. Foto Ansa.

Con questo nuovo lutto, salgono a 49 i militari italiani morti dall'inizio della missione Isaf in Afghanistan, nel 2004. Di questi, la maggioranza è rimasta vittima di attentati e scontri a fuoco, altri invece sono morti in incidenti, alcuni per malore ed uno si è suicidato. Immediato il cordoglio espresso dai presidenti Napolitano, Schifani e Fini, dal Presidente del Consiglio, dai ministri della Difesa e degli Esteri, dai Comandanti degli Stati Maggiori dell'Esercito e delle Forze Armate, nonché da tanti politici, di tutti gli schieramenti. Giorni dopo, non vedendo un'ampia ripresa su giornali e Tv, c'è chi s'è chiesto polemicamente se esitono dei morti di serie A ed altri di serie B.

Donne soldato del contingente italiano schierato nell'Afghanistan occidentale. Foto Ansa.
Donne soldato del contingente italiano schierato nell'Afghanistan occidentale. Foto Ansa.

Ovviamente, no. Il dolore di un familiare non merita graduatorie sulla base delle cause della morte. Agli occhi dei congiunti e dei concittadini, un incidente non vale meno di un conflitto a fuoco. Al netto di ogni retorica, qui quanto mai fuori luogo, si può dire che tutti i militari impegnati nella missione Isaf meritano egual considerazione. Ed egual riconoscenza.

Forse la nota più appropriata in questa vicenda viene da una notizia, passata sotto silenzio o quasi: Sultan Razia, la ditta di taglio di gemme e gioielleria nata nel 2006 grazie al Progetto di formazione professionale e di imprenditoria femminile della Cooperazione italiana, è stata eletta migliore impresa femminile del 2011 in Afghanistan.

S'è affermata, nota un comunicato ufficiale diffuso a Kabul, «nonostante le difficili condizioni di sicurezza e di mercato renda quell'ambiente riservato per lo più agli uomini». Il concorso è stato, indetto - tra gli altri - dalla Federazione delle donne d'affari afghane e alla Federazione degli artigiani e dei commerciani afghani - ha coinvolto 150 piccole e medie imprese femminili. Questo riconoscimento prova che gli sforzi condivisi dai nostri militari per garantire pace, giustizia e sviluppo a un tribolatissimo Paese com'è l'Afghanistan possono essere coronati dal successo.

Alberto Chiara
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Postato da folgore il 24/02/2012 19:39

Una cosa è il dolore dei familiari e un'altra la causa della morte. Non si può parificare, al di là del rispetto per il morto derivante dalla pietas, chi è morto in combattimento o servizio che sia con chi ha deciso di porre fine ai suoi giorni. Sarebbe come dire che si debba parificare un martire morto a causa del non avere rinnegato la Fede nell'antica Roma con chi allora morì di morte naturale.

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