18/01/2011
In due giorni della scorsa settimana l’Italia ha offerto a sé stessa la doppia immagine che la caratterizza in questi anni di crisi. Da
una parte, una politica stretta intorno alla presenza di una sola persona, fino a un devastante conflitto fra le istituzioni; dall’altra, una società alle prese con modi relativamente nuovi di concepire le relazioni industriali, in cui il lavoro rischia di perdere il rilievo fondante datogli dall’articolo 1 della Costituzione, davanti alla dimensione globalizzata dell’operare umano, così differenziato di continente in continente, e di Paese in Paese.
Alla prima immagine si riferiscono la sentenza della Corte costituzionale a proposito della legge sul legittimo impedimento per le più alte cariche dello Stato a presentarsi ai processi penali in cui sono imputate: una sentenza che ha dimezzato le possibilità offerte da quella legge, riaffidando ai giudici il compito di vagliare se un impedimento proposto dalla difesa sia o no giustificato, nel rispetto dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla giustizia; e, il giorno dopo, la richiesta della Procura di Milano di un giudizio immediato contro Berlusconi per due ipotesi di reato: atti sessuali con una minorenne in cambio di denaro o di altra utilità economica, e concussione nei confronti di funzionari di Polizia impegnati, il 27 maggio 2010, a identificare la predetta minorenne denunciata per furto da una conoscente.
Non abbiamo la minima intenzione di esprimere previsioni a proposito di questo giudizio immediato, chiesto perentoriamente da una Procura (che in un documento ufficiale si dice in possesso di prove sufficienti per far saltare tutta la fase di giudizio preliminare) e contro cui la difesa del premier sta preparando una prevedibile strategia di rinvii. Resta il fatto che nella vicenda della minorenne Ruby, marocchina che si tentò di far passare per nipote del presidente egiziano, risalta la personalità di un politico che, forse, ha sbagliato secolo, immaginandosi simile ai signori rinascimentali ai quali tutto era permesso, grazie all’assenza di un’opinione pubblica informata e all’acquiescenza delle gerarchie circostanti.
Per quanto riguarda la seconda immagine dell’Italia di oggi, il referendum di Mirafiori ha detto quello che doveva dire: un sì misurato al contratto firmato dai sindacati, esclusa la Fiom, che limita alcuni diritti di operai e impiegati su orari, turni, straordinari, assenze per malattia, rappresentanze sindacali, in cambio di un progetto-promessa di futuri vantaggi grazie a una maggiore produttività.
Quel voto è stato un atto di coraggio che non ha tolto dignità alla parte di poco sconfitta e, come ha detto il nuovo arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, «ha posto in risalto che investire sulle persone e sul futuro del nostro territorio offre a tutti gli imprenditori nuove e concrete opportunità». Un augurio (e un impegno per tutti) non da poco.
Beppe Del Colle