14/10/2011
Silvio Berlusconi ha ottenuto la fiducia alla Camera: 316 voti a favore, 301 i no. Forse ha ragione il deputato del Pdl Giuliano Cazzola: “Abbiamo trasformato una sconfitta, la mancata approvazione del rendiconto generale dello Stato a Montecitorio, in una vittoria”. L’opposizione aveva tentato di non far raggiungere il numero legale per la votazione, ma l’operazione non è riuscita. La strategia è stata fatta saltare dai cinque deputati radicali e dai due dell’Svp, che sono entrati in aula a votare. E così al secondo «appello», al resto dell’opposizione non è rimasto che prendere parte al voto.
E ora? Berlusconi ha promesso la prossima settimana il decreto sullo sviluppo. Nessuno sa cosa ci sia dentro e soprattutto chi lo abbia elaborato, visti i dissidi tra il premier e il ministro dell’Economia Tremonti. Si ha comunque l’impressione che la maggioranza resti sfilacciata, precaria, e che la fronda interna (capitanata dagli “scajoliani”) preferisca andare avanti, ma senza rompere, in attesa di un ulteriore logoramento e quindi di una maggiore rendita di posizione. Si allontana per il momento l’ipotesi di un governo di transizione, o del presidente, o “tecnico”, insomma un governo capace di guidare il Paese senza Berlusconi. Anche perché la stessa opposizione, con l’attuale legge elettorale, preferisce andare alle urne e fare il pieno di voti. I sondaggi infatti la danno di dieci punti sopra il Centrodestra.
Quanto al premier, può dirsi soddisfatto. Ha rinsaldato la sua alleanza con la Lega Nord, con cui è obbligato ad andare al voto alle prossime elezioni (magari rinunciando alla premiership e cedendo il timone a un suo fedelissimo, come Alfano), e ha tenuto a freno l’opposizione interna, dai "responsabili" ai seguaci di Scaloja.
Intanto, fuori dai palazzi della politica, crescono le proteste di piazza e lo smarrimento. Smarrimento da cui non sono immuni i cattolici. Un sondaggio dell’Ipsos sui cristiani praticanti registra una percentuale altissima di chi dichiara di astenersi o non sa più cosa votare: se gli elettori che non sanno cosa fare raggiungono una percentuale del 44 per cento, i cattolici che vanno a messa e svolgono attività di parrocchia superano il 50 per cento. Un dato su cui interrogarsi al prossimo appuntamento di Todi.
Francesco Anfossi