Ilva di Taranto, il calvario continua

Tromba d'aria sullo stabilimento, cede una gru, Trentotto i feriti. Il drammatico racconto di un testimone. Domani incontro a Palazzo Chigi. Parla padre Nicola Preziuso.

28/11/2012
Tutte le foto di questo servizio sono dell'agenzia Ansa.
Tutte le foto di questo servizio sono dell'agenzia Ansa.

Chi era lì ha parlato di una visione apocalittica, con le torri che oscillavano per più di un metro e le polveri rosse che vorticavano ovunque. Un nuovo dramma per Taranto, città già fin troppo provata dagli eventi, in questi giorni al centro dell’attenzione per il blocco dell’Ilva. Una tromba d’aria di notevole portata si è abbattuta questa mattina sulla zona dell’acciaieria, danneggiando gli stabilimenti e provocando un disperso e una quarantina di feriti, fra cui cinque bambini. «La forza del vento ha fatto pensare a una vendetta della natura – commenta l’ambientalista Fabio Matacchiera, presidente del Fondo Antidiossina Taranto Onlus – non ho mai visto una cosa del genere in tutta la mia vita, sembrava un tornado, partiva dal mare per puntare dritto sul complesso siderurgico».

La tromba d’aria ha investito prima la zona portuale dell’Ilva distruggendo la portineria e facendo crollare in mare una gru col pontone: l’operaio che si trovava nella cabina di comando è tuttora disperso in mare, i sommozzatori lo stanno ancora cercando ma ormai si dispera di trovarlo in vita. La tromba d’aria è poi entrata nel cuore dell’Ilva scoperchiando l’acciaieria 2 e abbattendo un camino di 80 metri. I danni sono ingentissimi: «il vento ha sollevato una gran massa di polveri dai parchi minerali, in direzione di Massafra, e non sappiamo ancora dove si depositeranno – ha spiegato Matacchiera – Ma il rischio maggiore viene dai ‘big bag’, che contengono le polveri alle diossine accumulate in attesa di essere mandate al nord per lo smaltimento: se il reparto dove si trovano è stato danneggiato le conseguenze per la salute possono essere molto serie».

Si prospetta quindi un aggravarsi dell’inquinamento, in una zona già catalogata fra i 44 Sin italiani (Siti inquinati di interesse nazionale per le bonifiche), segnata da un numero di malattie e di morti di gran lunga superiore al resto della Regione. La perizia epidemiologica disposta durante l’incidente probatorio dello scorso inverno ha infatti stabilito che per i soli dipendenti Ilva si registra l’11% in più dei decessi per tumore. Due o tre  persone che muoiono ogni mese per i fumi della fabbrica. Nei giorni scorsi, l'ennesima evoluzione delle indegini avviate dalla Procura aveva fatto registrare numerose ordinanze di custodia cautelare. Le accuse, diverse da indagato a indagato, andavano dall'associazione per delinquere, alla corruzione in atti giudiziari, alla concussione. Tra i destinari dei provvedimenti anche Fabio Riva, vicepresidente dell’Ilva, e figlio di Emilio Riva.

Un duro colpo per la dirigenza del più grande impianto siderurgico d’Europa, che già era stato raggiunto, lo scorso 26 luglio, dal sequestro senza facoltà d'uso dell’intera area a caldo, disposto dal gip Patrizia Todisco proprio per i gravissimi danni alla salute e all’ambiente. Un provvedimento in realtà totalmente ignorato, visto che la produzione era continuata come prima. Nella confusione generale ora si attende la risposta del Governo che, pressato dalle parti sociali, sta cercando non senza imbarazzo una soluzione che rischia di essere davvero tardiva: si parla di un decreto legge per evitare la chiusura dell’Ilva, che verrebbe dichiarato «sito di interesse strategico nazionale». A Taranto non ci credono: «un decreto legge non può in alcun modo permettere il dissequestro ordinato dalla procura per reati in atto, sarebbe anticostituzionale. La produzione non ripartirà».

«In questi momenti di ansia e di paura l’incontro di domani, voluto fortemente da Monti e dal capo dello Stato, ci restituisce un po’ di speranza – ha detto padre Nicola Preziuso,
direttore dell’Ufficio pastorale sociale della diocesi di Taranto – ci aspettiamo che non ci si dimentichi di noi, sia per quanto riguarda l’ambiente che per la fame di lavoro. Noi come chiesa stiamo vicini alle persone nelle emergenze, senza trascurare una riflessione che guardi al futuro».

Federica Tourn
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