22/04/2012
Il premier indiano Manmohan Singh con sonia Gandhi (foto del servizio: Reuters).
Ci sono diversi modi di combattere la povertà. Misure economiche, assistenziali, progetti di sviluppo. Ma c'è anche chi, per risolvere il problema, ha pensato di cancellare il numero dei poveri.
In India, il presidente della Commissione Quinquiennale Montek Singh Ahluwalia, per dimostrare che la povertà è diminuita del 7,3% negli ultimi cinque anni, ha fissato la soglia dell'indigenza a 22 rupie al giorno per le aree rurali e 28 per quelle urbane. Vale a dire, meno di 50 centesimi di euro al giorno.
Non è solo una mera statistica. L'abbassamento della cosiddetta “linea di povertà” si ripercuote direttamente sull'accesso all'assistenza statale, tagliando fuori milioni di persone dagli schemi del Governo. Indignate proteste in tutto il Paese hanno seguito l'annuncio di Montek Singh, che è anche il braccio destro del primo ministro Manmohan Singh, nonché suo più fedele alleato.
Il primo minstro ha cercato di ridimensionare lo scandalo, assicurando l'opinione pubblica che la suddetta “linea di povertà” non sarà l'unico parametro per assegnare gli aiuti statali. Ma delude il fatto che un economista come Manmohan Singh, protagonista della grande rivoluzione degli anni Novanta, che ha trasformato l'India da Paese sottosviluppato a grande potenza economica mondiale, dimostri di voler risparmiare proprio sugli oltre 300 milioni di poveri della sua nazione.
Per le strade di Delhi, la gente scuote incredula le spalle. “Prima di parlare di certi numeri”, dice l'autista di un riksho a pedali, “i ministri dovrebbero provare, almeno per un giorno, se riescono davvero a sopravvivere con 28 rupie. Ma non stando seduti in poltrona, piuttosto pedalando per 12-14 ore sotto il sole, e in mezzo al traffico”.
“28 rupie” chiarisce un altro, “non sono neanche la metà del "pizzo" che dobbiamo pagare tutti giorni alla polizia, solo per poter lavorare”. Chissà sotto quale voce delle sue statistiche il Piano Quinquennale di Montek Singh avrà inserito la spesa del "pizzo".
Marta Franceschini