Indiani Sioux, il giorno della memoria

Il 1 febbraio 1876 gli Stati Uniti dichiararono guerra ai Sioux che non volevano abbandonare i territori dov'era stato scoperto l'oro. E fu l'inizio del massacro di Wounded Knee.

01/02/2012
Membri di una delegazione di Nuvola Rossa (al centro), storico capo degli indiani Sioux in una fotografia scattata prima del 1876 (foto Corbis).
Membri di una delegazione di Nuvola Rossa (al centro), storico capo degli indiani Sioux in una fotografia scattata prima del 1876 (foto Corbis).

Oggi cade l'anniversario di una dichiarazione di guerra troppo spesso ignorata o non considerata come tale. Il 1 febbraio 1876 il ministro degli Interni degli Stati Uniti d'America dichiarò guerra ai Sioux “ostili”, quelli cioè che non avevano accettato di trasferirsi nelle riserve, dopo che era stato scoperto l'oro nelle Black Hills, il cuore del territorio Lakota. Come si potevano traferire migliaia di uomini, donne e bambini dalla terra dov'erano nati, in una stagione dell'anno in cui il territorio era coperto di neve? Molti indiani pare neanche ricevettero l'ordine, in quanto impegnati nelle loro attività di caccia, lontano dalla propria residenza.

Guerriere Sioux e Cheyennes durante una rievocazione storica (foto Corbis).
Guerriere Sioux e Cheyennes durante una rievocazione storica (foto Corbis).


Quella dichiarazione di guerra del 1 febbraio fu l'inizio del massacro degli Indiani d'America, che culminerà con l'eccidio di Wounded Knee, passato alla storia grazie a canzoni, libri e film. Sul finire del dicembre 1890, la tribù di Miniconjou guidata da Piede Grosso, appresa la notizia dell'assassinio di Toro Seduto, partì dall'accampamento sul torrente Cherry, sperando nella protezione di Nuvola Rossa. Il 28 dicembre furono intercettati dal Settimo Reggimento, che aveva l'ordine di condurli in un accampamento sul Wounded Knee: 120 uomini e 230 tra donne e bambini furono portati sulla riva del torrente, circondati da due squadroni di cavalleria e trucidati.

Un indiano Lakota a Wounded Knee (foto Corbis).
Un indiano Lakota a Wounded Knee (foto Corbis).

“Seppellite il mio cuore a Wounded Knee” di Dee Brown è il libro (anche film) che ha commosso generazioni di persone e ispirato cantanti di tutte le generazioni e latitudini, fino a Fabrizio De Andrè che compose la canzone “Fiume Sand Creek”, Prince e Luciano Ligabue. Protagonista delle lotte indiane per 40 anni fu il Capo Nuvola Rossa (1822-1909) che si confrontò aspramente con l'agente governativo perché venisse rispettata l'autorità tradizionale dei capi indiani. Nel 1888 invitò i Gesuiti a creare una scuola per i bambini Lakota nella riserva indiana, una scelta necessaria per mantenere il legame degli Indiani con la loro terra. Pochi anni prima il governo aveva cercato di obbligare i bambini a frequentare una scuola “bianca” per essere “civilizzati” con risultati disastrosi per la cultura indiana.

Un indiano Dakota (foto Corbis).
Un indiano Dakota (foto Corbis).


Nuvola Rossa andò a Washington più volte di ogni altro capo indiano e rimane il leader più rispettato del suo popolo, insieme ad Alce Nero, noto per la sua forte carica spirituale. Quest'ultimo aveva 13 anni nel 1876 ed era già impegnato nella causa, tanto che l'anno dopo andò a Londra per incontrare la Regina Elisabetta. Così racconta il massacro di Wounded Knee: «Brillava il sole in cielo. Ma quando i soldati abbandonarono il campo dopo il loro sporco lavoro, iniziò una forte nevicata. Nella notte arrivò anche il vento. Ci fu una tempesta e il freddo gelido penetrava nelle ossa. Quello che rimase fu un unico immenso cimitero di donne, bambini e neonati che non avevano fatto alcun male se non cercare di scappare via».

Bambini della tribù Sioux oggi nelle loro riserve (foto Corbis).
Bambini della tribù Sioux oggi nelle loro riserve (foto Corbis).


I Sioux, che preferiscono chiamarsi Dakota o Lakota, sono la principale tribù degli Stati Uniti, con 25.000 membri. Ora vivono in riserve nei loro antichi territori. Continuare a raccontare la loro storia (pochi giorni fa è stata la Giornata della memoria) è un modo per non dimenticare di cosa è stato capace l'uomo nel corso della storia e fare in modo che episodi simili non si ripetano.

Gabriele Salari
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Postato da Alessandro Profeti il 10/03/2012 10:29

Sinceramente, crediamo sia opportuno aggiungere qualcosa, e non di poco conto. Dall’intero paragrafo si intuisce la bontà dell’intervento dei gesuiti e la pessima condotta del governo, ma è necessario ricordare che le “scuole bianche” a cui ci si riferisce, furono successivamente istituite dal Governo e assegnate alla gestione proprio dei gesuiti e della chiesa cattolica. E qui, purtroppo, le cose non sono affatto andate bene. Infatti, è proprio in queste scuole che si è consumato con l’imposizione forzata e la violenza il distacco dei bambini Nativi dalle proprie famiglie e la perdita d’identità culturale che tanto ha pesato sulle vittime e che ancora pesa sulle generazioni che si sono susseguite a quelle che questi abusi li hanno vissuti sulla propria pelle. Non parliamo infatti di episodi isolati, ma di un sistema ben preciso congegnato per isolare i bambini dalle proprie famiglie e dalla propria cultura, proibendone ogni contatto, e cancellare con la forza la loro identità indiana per sostituirla con quella dei bianchi (e con la religione cattolica). Le testimonianze di questo sono ormai innumerevoli e tali al punto che è impossibile parlare e scrivere della storia dei Nativi “dimenticando” questo capitolo durato tanti anni. Dal 1879 fino al 1960, più di 100.000 bambini indiani americani e Nativi dell’Alaska sono stati costretti a frequentare queste scuole. I bambini sono stati allontanati con la forza o rapiti dalle loro case e portati alle scuole. Le famiglie rischiavano la reclusione se si mettevano in mezzo o tentavano di prendersi i loro figli indietro. Circa 100, solo in USA, erano le boarding school, alcune ancora attive fino al 1970. Generazioni di bambini sono stati sottoposti alla disumanizzazione, la crudeltà e le percosse, le violenze fisiche e sessuali, il tutto destinato a spogliarli della loro identità e la cultura Nativa. L’obiettivo finale era quello di “civilizzare” i bambini. Quello che era iniziato come una conversione dei bambini ad una nuova religione e ad un nuovo modo di vivere, divenne nient’altro che un genocidio culturale. Quelle scuole non erano solo del governo, ma anche della chiesa cattolica. Vi erano preti, suore e funzionari che rispondevano ad essa. Scrivere che “…continuare a raccontare la loro storia è un modo per non dimenticare di cosa è stato capace l’uomo nel corso della storia e fare in modo che episodi simili non si ripetano” è giusto, ma questa storia va raccontata fino in fondo. Nell’articolo di cui stiamo parlando, questa parte di storia è inesistente, eppure è parte integrante del genocidio fisico e culturale perseguito e compiuto nei confronti di questi popoli. Anche questo NON va dimenticato. Né nel Giorno della Memoria, né mai.

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