Indignati a stelle e strisce

Il vasto movimento di protesta contro Wall Street, simbolo del potere finanziario, non trova eco nella stampa e nelle Tv americane.

02/10/2011
Le proteste a Wall Street, New York.
Le proteste a Wall Street, New York.

    Ci sono momenti in cui "l'assenza di notizie" dovrebbe fare notizia, scriveva lo storico Michael Kazin sul New York Times di domenica scorsa, riferendosi al fatto che il divario tra gli straricchi e i comuni mortali non stia riempendo a dovere pagine di giornali e palinsesti televisivi, nonostante sia il più alto dal 1929, dalla vigilia per l’esattezza, della grande depressione. Intristisce, dunque, ma non stupisce che, sui media tradizionali, chi protesta contro questa disparità e le istituzioni che la permettono sia praticamente inesistente.

    Di fatto ieri sera la polizia di New York ha arrestato e multato almeno 500 manifestanti per aver cercato di bloccare il ponte di Brooklyn e stamattina, domenica, spazio tradizionalmente riservato all’approfondimento politico in Tv, era quasi impossibile trovarne notizia, sia sui network generalisti che sui canali all news, tutti ingolfati di elucubrazioni su potenziali candidati repubblicani e possibile colpevolezza o innocenza del dottore di Michael Jacskon. E i giornali non sono da meno. Un solo articoletto di cronaca sul New York Times, seguito da un piccolo editoriale con tanto colore, un po' di paternalismo e poco altro. Sul Boston Globe, poi, niente di niente nonostante da tre giorni alcuni manifestanti - arrivati venerdì sera a un migliaio, secondo le stime - occupino il prato antistante una delle principali stazioni ferroviare della città dove viene stampato.

    Sì, perché tra l'indifferenza dei mezzi di comunicazione classici – restii anche a raccontare gli abusi della polizia nei loro confronti - gli indignati (che qua nessuno chiama comunque così) si sono passati parola via Internet e dopo due settimane di "occupazione" di Wall Street (così la chiamano ma in realtà anche lì è un sit-in in un parco) si stanno espandendo da New York a tutta un serie di luoghi-simbolo del potere finanziario nelle maggiori città d'America. Certo, dall'aspetto dei manifestanti e dai loro slogan – apparsi finora molto di più sui telegiornali RAI che su quelli di CBS, NBC, ABC e FOX messi insieme – si capisce che si tratta ancora di frange radicali della sinistra americana: giovani, studenti, disoccupati, attivisti e provocatori assortiti, pratici di computer e social network con molto tempo a disposizione, poco o niente da perdere e soprattutto non rappresentati politicamente da nessuno.

    Eppure, per quanto vaghe e colorite siano le lamentele, le loro istanze riguardano un'intera Nazione in cui i tre milioni di persone che guadagnano di più controllano in totale più ricchezza dei 270 milioni che guadagnano di meno, e dove, dopo essere state salvate dal fallimento, con 700 miliardi di dollari presi dalle tasse degli americani, banche e corporation che vi si appoggiano hanno ricominciato a distribuire allegramente compensi, bonus e pacchetti pensioni milionari ai propri dirigenti. Il fatto è che la crisi non ha ancora colpito in pieno le zone d'America dove vivono e operano i cosiddetti "opinion leader", in particolare i campus universitari attorno ai quali gravitano intellettuali, giornalisti, consulenti politici, ovvero chi da sempre stimola e guida idealmente le rivoluzioni. E che i Mario Rossi, (che qui si chiamano John Doe) che nelle città e nei sobborghi dell'America "reale" stanno perdendo lavoro, casa e pensione, mal si identificano in questi ragazzi tutti tatuaggi, piercing e computer portatili. Anzi, in molti casi chiamano la polizia quando ne vedono più di uno aggirarsi nel loro quartiere.

    Eppure parlano la stessa lingua ed esprimono la stessa frustrazione verso un sistema che concentra la ricchezza uccidendo inesorabilmente la classe media e dunque, secondo loro, il sogno americano. Navigando su Internet – dove fortunatamente c'è spazio per tutti – si ha la netta sensazione che "Occupy Wall Street" (così si sono autobattezzati i contestatori newyorchesi) sia la classica punta di un iceberg, l'inizio – come sempre esagerato, provocatorio e rumoroso – di un movimento che con i giusti alleati istituzionali potrebbe assumere, specie in un anno elettorale, proporzioni importanti.

Stefano Salimbeni
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