04/05/2011
Don Pietro Zago, father Peter, salesiano, con un giovanissimo pakistano nel cortile della scuola di Quetta.
Avete paura che la rabbia dei seguaci di Al Qaeda si ritorca verso di voi, cattolici pakistani, tra tutti i potenziali bersagli i più vicini e forse anche i più facili da colpire? «Naturalmente sì. Parlo in generale della situazione del Pakistan, e non di questa o di quella città. I cristiani, in Pakistan, sanno per esperienza che - appartenendo a una minoranza sovente discriminata e qua e là brutalmente trattata - devono stare attenti. Lo sanno. E quindi, in generale, vuoi per virtù cristiana, vuoi per prudenza umana evitano di creare occasioni che possano anche lontanamente causare reazioni violente».
Parla, father Peter. Lo fa con Famiglia Cristiana. Lo fa dal lontano Belucistan pakistano, da Quetta, una città non distante dal confine con l'Afghanistan, in cui, spiega, «il 2 maggio, appena appresa la notizia della morte di Bin Laden, circa mille persone d'etnia pasthun, guidate da molti mullah, hanno manifestato lungo la via principale, innalzando l’effige del loro eroe e gridando slogan contro l’America e contro il Governo di Islamabad (la fotografia scelta per la copertina di questo articolo, scattata da Arshad Butt, fotografo dell'agenzia Associated Press, si riferisce proprio al corteo pro-Bin Laden svoltosi a Quetta il 2 maggio 2011,
ndr.)».
«Le ritorsioni ci saranno certamente, ma noi rimaniamo qui confidando in Dio, oltre che nel buon senso e nel buon cuore del prossimo», sottolinea ancora father Peter. Il nome inglese non deve trarre in inganno.
Father Peter, infatti, è l'italianissimo Pietro Zago, nato il 6 gennaio 1935 a Borgoricco, in provincia di Padova, salesiano dal 16 agosto 1953, sacerdote dal 25 marzo 1963, missionario dal 1969: prima nelle Filippine, poi in Papua Nuova Guinea, e, infine, dal 2001, in Pakistan, a Quetta, dove per altro gode della stima di non ha la sua stessa fede e delle autorità civili, che hanno apprezzato, tra l'altro, il suo infaticabile prodigarsi a favore delle vittime del terremoto del 2005 e dell'alluvione del 2010, per le quali ha lavorato senza sosta con gli animatori e gli studenti della scuola salesiana di Quetta, cristiani e musulani insieme.
Don Pietro Zago, al centro, con alcuni giovani pakistani che frequentano il centro salesiano di Quetta.
«La mattina del 3 maggio», prosegue padre Pietro Zago, «ho commentato
il blitz americano con chi lavora qui (62 tra maestre e maestri più 20
adetti all’amministrazione e ai servizi, quasi tutti cristiani)
ricordando le parole del portavoce vaticano, padre Lombardi, che avevo
letto all’alba: “ Non dobbiamo gioire per la morte di nessuno”. La
morte, come la vita, è nelle mani di Dio. Certo, l’allarme è aumentato.
Paul Bhatti, subentrato al fratello, Shabbaz Bhatti (assassinato il 2
marzo scorso) nel delicato incarico di ministro federale per le
minoranze religiose, ci ha informati che le violenze sono possibili.
Speriamo che non accada nulla. Durante le funzioni religiose, tutte le
nostre chiese e le nostre cappelle sono sufficientemente protette dalla
polizia e dai soldati. Naturalmente parlo di Quetta dove il contingente
militare conta numerosi effettivi ed è bene organizzato. Cosi non è
fuori dalla città e tanto meno in altre zone del Panjab o del Nordovest
del Paese, attorno a Peshawar».
«Le morti violente del Governatore del Punjab (Salman Taseer, assassinato il 4 gennaio 2011 dal fondamentalismo islamico, ndr.) e del compianto ministro Bhatti (cattolico dichiarato, trucidato il 2 marzo da un gruppo di fuoco di estremisti , ndr.) sono state per noi minoranze uno shock profondo
per i due episodi in sè, ma ancor più per la quasi assoluta incapacità
del Governo di garantire l'incolumità dei suoi cittadini più gravati da
responsabilità e più attenti al dialogo e al rispetto reciproco. Che ne
sarà quindi dei “semplici” pakistani, viene da chiedersi, ancor più se
appartementi alle minoranze religiose?», continua don Zago. «Mese dopo
mese si moltiplicano fatti tristi e la speranza di un dialogo che porti
distensione e mutuo rispetto si fa sempre più sottile. Eppure posso
garantire che i musulmani amanti della pace sono più numerosi dei
fanatici, anzi sono la maggioranza della popolazione. Purtroppo
rischiano di trovarsi senza guide religiose e senza rappresentanza
politica. La minoranza estremista è fortemente motivata ed organizzata.
La morte di Bin Laden le darà una nuova spinta».
Don Pietro Zago, father Peter, con alcuni bambini pakistani aiutati dal religioso salesiano.
Che dire della legge sulla blasfemia, usata talvolta come una clava, in maneria indiscriminata, per vendette personali? «Temo
proprio che questa legge resisterà e che continuerà anche l'uso
distorto che se ne fa oggi: si andrà avanti così fino a quando il
fondamentalismo farà paura ai politici», sospira il salesiano. «Detto
ciò rimango qui, con fiducia. Un certo dialogo è possibile, anche se è
limitato a livelli alti di cultura e presuppone una maturità democratica
non molto diffusa. Il dialogo fatica a conquistare le masse formate
dalle scuole religiose, le madrasse, sparse in tutto il Pakistan
occidentale. Da noi, invece, il dialogo fa parte del Dna religioso,
civile, culturale, pratico. La nostra scuola ospita 1.200 alunni di
tutte le etnie e religioni. Non c'è paura. Nella nostra struttura i
cristiani (cattolici e protestanti) sono il 55 per cento; il 45 per
cento è musulmano (ci sono sciiti e sunniti, ed altri ancora). Da otto
anni la scuola vive in discreta tranquillità anche perchè raccoglie i
giovani più poveri ed è guidata da uno staff che fa suo il sistema
preventivo di san Giovanni Bosco: “ Mi basta sapere che siete giovani
per volervi bene”».
Alberto Chiara