09/11/2011
Il presidente iraniano Ahmadinejad nella centrale nucleare di Bushehr.
Al contrario di quanto dicono gli ascari di Ahmadinejad (e, peraltro,
di quanto dicevano anche i “falchi” di Bush quando inventavano scuse per
invadere l’Iraq),
l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (l’Agenzia dell’Onu
per la sicurezza nucleare) non è asservita a nessuno e non fornisce
pareri di comodo. Per cui il Rapporto sui progressi nel campo
del nucleare militare da parte dell’Iran, che dovrebbe uscire
nelle prossime ore, sarà in grado di dire una parola decisiva su una
questione che tiene il mondo in sospeso da molti anni.
Come si sa, gli Usa, la Gran Bretagna e soprattutto Israele
negli ultimi mesi hanno apertamente minacciato azioni militari per
stroncare l’eventuale minaccia iraniana. Allo stesso modo,
Russia e Francia si sono già opposte, ed è prevedibile che anche la
Cina, in affari con l’Iran, si farà sentire. Nel frattempo, impazzano
rivelazioni o presunte tali.
Il Washington Post, citando fonti anonime dei servizi di
sicurezza, ha tirato in ballo Vyacheslav Danilenko, un
fisico nucleare russo che ha lavorato per gli iraniani fin da metà anni
Novanta.
Danilenko avrebbe istruito gli scienziati iraniani sulla
costruzione di detonatori ad alta precisione, quelli che appunto servono
per innescare l’esplosione che porta alla reazione nucleare.
Curiosamente lo stesso giornale americano precisa che l’Iran non ha la
bomba e che il suo programma nucleare è comunque ancora lontano dalla
conclusione. Come dire: il pericolo c’è e non c’è, chissà.
D’altra parte, l’articolo del Washington Post è la
rifrittura di una vecchia storia. Anzi, di alcune vecchie storie.
L'impianto iraniano di Arak.
Preoccupazione per il petrolio del Golf
E’ arcinoto che tra Russia e Iran c’è stata, a partire dagli anni
Settanta, una collaborazione nel settore nucleare. Ed è accertato
che
non uno, ma molti scienziati ex sovietici hanno poi lavorato per l’Iran.
Per fare un solo esempio, il New York Times scrisse più volte
sullo
scienziato russo specialista in detonatori già nel 2008, sempre
citando fonti aninime dei servizi di sicurezza. Così come, nel settembre
scorso, furono tirati in ballo i servizi segreti e i loro complotti
quando, in un disastro aereo in Russia, tra le 45 vittime furono
rinvenuti cinque scienziati russi (il più noto dei quali era Andrej
Trokinov) che avevano a lungo lavorato con Hydropress,
un’azienda russa che aveva partecipato allo sviluppo della centrale
iraniana di Bushehr.
La solita disinformazione? Aspettiamo l’Aiea per giudicare.
Ma l’enfasi sulla minaccia iraniana nei confronti di Israele,
al netto dei timori e dei giustificati sentimenti degli stessi
israeliani, in questo momento pare una cortina di fumo. L’Iran, per
colpire Israele, dovrebbe sacrificare luoghi venerati dall’islam e la
vita di moltissimi musulmani. Dovrebbe sfruttare una tecnologia avanzata
(missili a medio raggio e sistemi di puntamento, oltre ovviamente alla
bomba) di cui non pare disporre. E comunque non potrebbe
organizzare un simile lancio trovandosi sotto il costante controllo dei
satelliti e dei radar americani, che dal cielo e dalle navi nel
Golfo Persico lo tengono monitorato.
Il vero timore degli Usa è rivolto
soprattutto all’Arabia Saudita e agli Stati petroliferi del Golfo
che, con un Iran coperto dall’ombrello atomico, sarebbero intimiditi ed
esposti ad azioni terroristiche o militari. Così l’amministrazione
Obama ha deciso di metterli in sicurezza. Basta allineare gli ultimi
fatti per capirlo. Dal sostegno politico fornito alla monarchia
saudita
per reprimere le manifestazione interne e quelle in Bahrein (dove
comandano i sunniti su una maggioranza sciita) al complotto per
uccidere
l’ambasciatore saudita negli Usa, attribuito all’Iran nello
scetticismo
generale degli specialisti di intelligence.
Gli Usa, insomma, considerano l’Arabia Saudita e gli altri
Stati dell’area non solo alleati fedeli ma anche un baluardo
indispensabile per contenere due fenomeni pericolosi per la stabilità
degli Usa: una turbativa del mercato internazionale del petrolio (su cui
i protagonisti autonomi dall’Opec o non benevoli nei confronti degli
Usa sono già molti: Russia, Venezuela, Iran…) e una penetrazione in
Medio Oriente della Cina attraverso la testa di ponte dell’Iran. Per
l’uno e l’altro scopo è necessario mettere un freno alle ambizioni
dell’Iran. Che se poi stesse davvero lavorando alla bomba atomica,
avrebbe messo la firma sotto la propria rovina.
Fulvio Scaglione