18/11/2012
Una donna palestinese tra le macerie della sua casa a Gaza (foto del servizio: Reuters).
Se non fosse impossibile, verrebbe quasi da pensare che Hamas e Netanyahu si siano messi d’accordo, tanto questa ennesima "guerra di Gaza" sembra convenire alle esigenze dell’uno come dell’altro. Il premier israeliano tra due mesi dovrà affrontare le elezioni politiche: la sua campagna elettorale è già fatta, i voti li stanno conquistando per lui i missili delle brigate palestinesi e i tank di Tsahal. Ma d'altra parte: i gruppi militari che fiancheggiano Hamas a Gaza sono diretti da fanatici ma non da stupidi. Perché hanno intensificato la strategia dei missili a così poca distanza dalle elezioni politiche in Israele? Possibile che solo loro non immaginassero quanto era chiaro per tutti, e cioè che Netanyahu avrebbe colto al volo l'occasione per mostrare i muscoli?
Israele, come qualunque altro Stato sovrano, non può accettare che parte del proprio territorio sia perennemente esposta a un bombardamento di missili, per quanto poco efficaci e facilmente neutralizzabili. I palestinesi della Striscia, peraltro, sono inevitabilmente portati a ribellarsi a un isolamento disumano (terra, cielo e mare sono loro preclusi) e senza prospettive. Ma la sensazione è che una crisi violenta, a intervalli regolari, sia utile, forse indispensabile, a entrambi i contendenti.
Hamas, provocando lo scontro, neutralizza la politica della cautela dell'Autorità Palestinese della Cisgiordania e conferma il triste fatto che senza un accordo con Hamas nessun accordo è possibile. E minacciando Israele tiene aperto il canale di finanziamento (il budget ufficiale di Hamas è stato di 540 milioni di dollari nel 2010, di circa 600 nel 2011 e di 769 nel 2012) con l'Iran e i Paesi del Golfo Persico.
Israele, reagendo alla minaccia, ottiene il solito "liberi tutti" dalla comunità internazionale (che si straccia le vesti per i civili siriani ed è indifferenti ai civili palestinesi) e rimanda il confronto con alcune realtà poco spiegabili della sua ormai lunga vita (64 anni) come Stato sovrano: i muri che si moltiplicano (quella di Separazione con la Cisgiordania, quello che isola Hamas, quello in costruzione su lato del Sinai) e che ormai, più che tagliar fuori gli altri, chiudono dentro gli israeliani; gli insediamenti, mai interrotti e nemmeno rallentati, chiaramente destinati a spingere all'esilio i palestinesi. E soprattutto, una vocazione mai chiarita: se Israele è un Paese del Medio Oriente, perché non è riuscito a costruire un rapporto decente con nessuno dei Paesi della regione? E se non è un Paese del Medio Oriente, ma una scheggia di Occidente laggiù trapiantata, come può pensare di essere accettato?
Si sente anche dire che l’improvvisa tensione nel Sud di Israele servirebbe a distogliere l’attenzione dalla Siria. Un piano dell’Iran, insomma, che, mobilitando Hamas, alleggerirebbe la pressione su Assad. Plausibile, per carità. Ma anche inutile: davvero qualcuno crede che una guerra nei cieli e per le strade di Gaza impedirebbe alla Cia, al Mossad e ai servizi segreti turchi di occuparsi della Siria come peraltro fanno da molti mesi?
La chiave di tutto, peraltro, non è la Siria e nemmeno Gaza, è l’Egitto. Cinque anni fa, Israele lanciò l’operazione “Piombo fuso” per disarmare Hamas. Nella Striscia ci furono 1.400 morti, in grandissima parte civili, e Hamas non fu disarmato. anzi: oggi dispone di missili che arrivano a colpire Tel Aviv e persino Gerusalemme. E cinque anni fa al Cairo comandava ancora Hosni Mubarak, il faraone prediletto dagli israeliani.
Oggi al Cairo comanda Mohammed Morsi, seguace dei Fratelli Musulmani come Ismail Haniyeh, il premier di Hamas a Gaza. Mubarak chiuse i tunnel che uniscono Gaza all’Egitto nel pieno di “Piombo fuso”, Morsi li ha chiusi quando un gruppo di estremisti palestinesi ha attaccato Israele dal Sinai (attirando sulle guardie egiziane la reazione degli israeliani), ma li ha lasciati aperti in tutti questi giorni di crisi.
Tra i due atteggiamenti c’è un mare di differenza e la morale è in sostanza questa: l’Egitto non permetterà che Hamas venga disarmato.
Piaccia o non piaccia, se il famoso statuto di Hamas che prevede l’eliminazione dello Stato di Israele è un assurdo politico e storico, nemmeno Israele può pensare di cancellare i palestinesi dalla faccia del Medio Oriente. Nè nel breve periodo (con un’azione di forza) né nel lungo periodo, strangolandoli con l’occupazione e con il rifiuto verso qualunque trattativa seria. La pace è l’unica soluzione del problema. Ma in quell’angolo di mondo, c’è troppa gente che preferisce una bella guerra a una brutta pace.
Un soldato israeliano prega sul suo carro armato.
Si sente anche dire che l’improvvisa tensione nel Sud di Israele servirebbe a distogliere l’attenzione dalla Siria. Un piano dell’Iran, insomma, che, mobilitando Hamas, alleggerirebbe la pressione su Assad. Plausibile, per carità. Ma anche inutile: davvero qualcuno crede che una guerra nei cieli e per le strade di Gaza impedirebbe alla Cia, al Mossad e ai servizi segreti turchi di occuparsi della Siria come peraltro fanno da molti mesi?
La chiave di tutto, peraltro, non è la Siria e nemmeno Gaza, è l’Egitto. Cinque anni fa, Israele lanciò l’operazione “Piombo fuso” per disarmare Hamas. Nella Striscia ci furono 1.400 morti, in grandissima parte civili, e Hamas non fu disarmato. anzi: oggi dispone di missili che arrivano a colpire Tel Aviv e persino Gerusalemme. E cinque anni fa al Cairo comandava ancora Hosni Mubarak, il faraone prediletto dagli israeliani.
Oggi al Cairo comanda Mohammed Morsi, seguace dei Fratelli Musulmani come Ismail Haniyeh, il premier di Hamas a Gaza. Mubarak chiuse i tunnel che uniscono Gaza all’Egitto nel pieno di “Piombo fuso”, Morsi li ha chiusi quando un gruppo di estremisti palestinesi ha attaccato Israele dal Sinai (attirando sulle guardie egiziane la reazione degli israeliani), ma li ha lasciati aperti in tutti questi giorni di crisi.
Tra i due atteggiamenti c’è un mare di differenza e la morale è in sostanza questa: l’Egitto non permetterà che Hamas venga disarmato. Piaccia o non piaccia, se il famoso statuto di Hamas che prevede l’eliminazione dello Stato di Israele è un assurdo politico e storico, nemmeno Israele può pensare di cancellare i palestinesi dalla faccia del Medio Oriente. Nè nel breve periodo (con un’azione di forza) né nel lungo periodo, strangolandoli con l’occupazione e con il rifiuto verso qualunque trattativa seria. La pace è l’unica soluzione del problema. Ma in quell’angolo di mondo, c’è troppa gente che preferisce una bella guerra a una brutta pace.
Fulvio Scaglione