23/02/2011
Hashim Thaci.
“Un passato serbo, un presente albanese” diceva del Kosovo lo slavista Paul Garde. La realtà ha più sfaccettature: i serbi vogliono anche il presente, gli albanesi rivendicano anche il passato. A tre anni dalla proclamazione unilaterale dell’indipendenza (17 febbraio 2008), il Kosovo ha però il problema del futuro. Dopo le elezioni anticipate del 13 dicembre, che hanno visto un’affluenza del 47,8 per cento, per più di due mesi le forze politiche kosovare non hanno trovato un accordo per comporre l’esecutivo di Pristina. Il primo partito, il Pdk del premier uscente Hashim Thaci, ex leader dei guerriglieri dell’Uck, è rimasto lontano dalla maggioranza assoluta a cui puntava. Segue il Ldk del popolare sindaco di Pristina, Isa Mustafa. Ldk e Pdk, fino a dicembre le due principali forze dell’esecutivo, non governeranno più insieme.
Dopo più di due mesi di trattative, Thaci si appresta a guidare un governo con il piccolo partito del discusso miliardario Behgjet Pacolli (eletto presidente della Repubblica del Kosovo) e con alcuni esponenti della minoranza serba. Pacolli è noto alle cronache italiane per essere l’ex marito della cantante Anna Oxa. “Abbiamo vinto contro tutti. Questo è un voto per un Kosovo europeo” ha esultato Thaci subito dopo i risultati delle elezioni, ma nel mese successivo ha dovuto affrontare due difficili questioni: la ripetizione del voto in cinque comuni, a seguito delle denunce di brogli, e, soprattutto, la pubblicazione , il 16 dicembre, del Rapporto Marty sui “Trattamenti disumani e i traffici illeciti di organi in Kosovo”.
Il senatore svizzero Dick Marty ha presentato un’inchiesta del Consiglio d’Europa in cui Thaci è accusato di aver guidato un’organizzazione mafiosa dedita a traffici illegali (compresso quello di organi umani), durante il conflitto del 1999. Le accuse, già formulate dall’ex procuratrice dell’Aja Carla Del Ponte, sono state respinte da Thaci, ma indubbiamente hanno rappresentato un colpo all’immagine internazionale del Kosovo. Ad esempio, lo scorso mese, il settimanale inglese The Economist ha scritto che i progressi dello stato di diritto in Kosovo sono “non-existent”.
“Questa guerra non solo versa soprattutto il sangue dei civili, ma precipita due interi popoli verso l’imbarbarimento. La rinuncia alla politica e alla diplomazia è un errore che si pagherà a lungo”. Così scriveva lo storico Roberto Morozzo della Rocca nel 1999, appena dopo l’inizio dei bombardamenti NATO. La convivenza tra serbi e albanesi rimane ancora la sfida aperta per il futuro del Kosovo. Le elezioni di dicembre segnalano tuttavia una novità all’interno della comunità serba: nelle aree settentrionali, dove è attivo lo “stato parallelo” serbo (scuole, banche, monete, uffici pubblici), i serbi hanno seguito l’appello di Belgrado di boicottare le urne, ma, a sud del fiume Ibar, una percentuale maggiore di serbi rispetto alle ultime elezioni ha partecipato al voto. Segno, forse, di una nuova evoluzione degli equilibri tra le due comunità.
Non mancano, tuttavia, gli episodi di intolleranza. Nel 2010 sono stati ancora riportati casi di crimini d’odio, come la profanazione della tomba di un’anziana serba che aveva chiesto di essere seppellita nel villaggio dove lei e la sua famiglia avevano sempre vissuto, ma dove, dal 1999, nessun serbo era più stato seppellito. “Un Kosovo europeo” è uno slogan diffuso nei discorsi dei politici locali e rimane la via maestra per ripensare ad un futuro comune tra serbi e albanesi. L’emigrazione in Europa è il sogno più ricorrente tra i ragazzi del Paese più giovane d’Europa: ha un’età media di 26 anni e, con la disoccupazione al 47%, ogni anno 25-30.000 giovani entrano nel mercato del lavoro senza trovare opportunità di impiego. Ma anche l’ingresso nell’Unione Europea è un sogno ricorrente. La vecchia Europa è molto impegnata ad aiutare il giovane Kosovo: come per tutti i buoni maestri, la sfida dell’Europa è essere presente e molto esigente.
Stefano Pasta