13/06/2011
Il presidente Napolitano al seggio.
Calma: il raggiungimento del quorum ai quattro referendum abrogativi, fenomeno che non si verificava dal 1995, non è l’inizio della rivoluzione e nemmeno la fine sicura del quarto Governo Berlusconi. Certo è, però, che si tratta di una novità importante, proprio perché raduna in sé tante cause e tante motivazioni e, così facendo, rende l’idea dell’aria che tira nel Paese.
C’è di sicuro, in questo successo dei comitati referendari, l’urgente concretezza dei quesiti. L’acqua come bene comune, il nucleare come rischio per la salute collettiva, il legittimo impedimento come violazione dell’uguaglianza di fronte alla legge. Strumentalizzate o no, comprese fino in fondo o no, sono questioni che possono (sommessamente aggiungiamo: dovrebbero) mobilitare i cittadini. A prescindere. La partecipazione, invece, è stata “drogata” dalla solita, italica politicizzazione delle urne, nell’uno come nell’altro senso. Però ha vinto il referendum e il risultato, con Berlusconi e Bossi che apertamente esaltavano la scelta astensionista, è almeno in parte un “no” fragoroso a questo Governo.
Hanno contribuito, forse non poco, incertezze ed errori della maggioranza. Il balletto sul nucleare (lo facciamo, non lo facciamo più, diciamo che non lo facciamo ma in realtà vogliamo farlo) è diventato autolesionismo allo stato puro. Il sospetto che i ricorsi contro il referendum sul nucleare fossero un espediente per salvare il legittimo impedimento, mai davvero fugati, hanno probabilmente portato ancora più gente alle urne.
Al raggiungimento del quorum, infine, ha contribuito la spinta propulsiva delle elezioni amministrative, non ancora esaurita. E come nel voto di Milano e Napoli e Novara (per citare solo i casi più clamorosi), anche nei quattro “sì” si distingue un innegabile voto di protesta. Ed è questa, per il Governo, la spina più dolorosa. Il nucleare non l’avevamo e non l’avremo, l’acqua era pubblica e resterà tale. Il legittimo impedimento potrà comunque essere riproposto. Ma la gente scontenta e sfiduciata, delusa da un “miracolo italiano” troppe volte promesso e mai visto, quella sarà difficile da recuperare.
Fulvio Scaglione