26/01/2013
Slot machine in un locale di Roma (foto Reuters)
La vita non è un colpo di fortuna, anche se più di 800.000 persone, nell’ultimo anno, si sono fatte coinvolgere dal miraggio della dea bendata. Una cifra che gli esperti dicono arrotondata per difetto, visto che il gioco d’azzardo ormai è un business che muove più o meno 180 miliardi l’anno.
A pochi giorni dalla maxi operazione gestita dalla guardia di Finanza in molte regioni d'Italia, che ha portato all'individuazione e al sequestro di numerose slot machine truccate finite in mano alla 'ndrangheta, a Bologna si è svolto il convegno dal titolo, appunto, La vita non è un colpo di fortuna, organizzato dall'istituto Petroniano Studi Sociali dell'Emilia Romagna e dall’istituto Veritatis Splendor della Fondazione Lercaro. Una giornata di studi a cui hanno preso parte il ministro della Sanità Renato Balduzzi, Giovanni Serpelloni, capo dipartimento per le Politiche Antidroga, specialisti come lo psichiatra Vittorino Andreoli e monsignor Alberto D'Urso, segretario della Consulta nazionale antiusura Giovanni Paolo II di Bari.
«Abbiamo tutelato chi soffre già della patologia», ha ribadito il ministro Balduzzi. Il cosiddetto Gap (gioco d'azzardo patologico) infatti, grazie al decreto 158/2012, meglio noto come legge Balduzzi, è stato fatto rientrare nei "Livelli essenziali di assistenza" e riconosciuto a tutti gli effetti come malattia. Secondo i dati però sarebbero a rischio almeno un altro milione di persone, soprattutto giovani e giovanissimi. Per questo il decreto ha previsto maggiori controlli e una stretta sugli spot. Misure che ancora dicono poco rispetto alla sofferenza e alla tragedia di famiglie che il vizio del gioco ha ridotto sul lastrico. «Gli spot sono pubblicità ingannevole a tutti gli effetti», ha protestato Vittorino Andreoli, «per onestà e decenza andrebbero chiamati non gratta e vinci, ma gratta e perdi, perché la gente li compra come oggetti innocui e ci perde anche 20 euro in un solo colpo, che per un pensionato sono una somma ragguardevole».
Gli esperti confermano che la ludopatia non può essere considerata come un fenomeno a sé stante. La dipendenza da gioco va studiata e combattuta in relazione a tutte le altre dipendenze patologiche da fumo, da alcol, da internet, dalla televisione, dal sesso «perchè si sa che i soggetti a rischio, che oggi coincidono con la quasi totalità della popolazione, come escono da una dipendenza entrano in un'altra», ha concluso lo psichiatra.
Oggi anche la Chiesa è più che mai attiva nell'identificare le cause e a curarne gli effetti. «Siamo stati i primi in Italia a lanciare l’allarme, ma il nostro grido è rimasto inascoltato», ha detto monsignor D'Urso. Prossimamente proprio a Bologna si aprirà un centro di studi sul fenomeno del gioco d'azzardo.
Simonetta Pagnotti