L'Italia affamata di lavoro

Un sondaggio commissionato dalla Acli rivela il pessimismo degli italiani nell'affrontare la crisi. La ripresa tra tre anni. Ma per uscire servono riforme. O forse una rivoluzione.

03/05/2012
Foto Ansa.
Foto Ansa.

L’Italia uscirà dalla crisi entro i prossimi 3 anni. Ma torneremo al punto di partenza. Anzi, saremo in condizioni peggiori di prima, perché tra 10 anni saremo più poveri. Il primo segnale della ripresa sarà la diminuzione della disoccupazione. Per cambiare veramente il Paese ci vorrebbero le riforme. O forse addirittura una “rivoluzione”. Il giorno in cui l’Istat segnala un tasso di disoccupazione record pari al 9,8 per cento, con il 35 per cento dei giovani tra i 15 e i 24 anni senza lavoro, le Acli, pubblicano un sondaggio sulla percezione degli italiani della crisi economica. Il sondaggio, realizzatoda da Ipr Marketing, in collaborazione con Iref (l’istituto di ricerca delle Acli) si intitola Come e quando usciremo dalla crisi economica? Ed è  diffuso a margine del 24° Congresso nazionale.

Bastano ormai 100 euro in meno nel bilancio per andare in crisi. Per sei italiani su dieci (60,2%) peserebbe molto o abbastanza. Più preoccupati di fronte a una spesa fuori budget sono i cittadini del Sud (70,9%), le donne (68,7%) e gli under 35 anni (62,7%). Quasi la metà del campione (47,5%) ha iniziato a percepire in concreto nella vita quotidiana gli effetti della crisi economica tra il 2010 e il 2011. Il 14,8%  era già in una situazione di sofferenza economica prima del 2008. La grande maggioranza degli italiani (72,4%) non riesce a leggere in questa crisi un’occasione di progresso o cambiamento. Nel futuro c’è solo insicurezza e preoccupazione. La speranza precede il pessimismo tra gli uomini over 54enni, i laureati e i cattolici praticanti. Per uscire dalla crisi sociale ed economica del Paese non si può non puntare su una maggiore equità (24,9) e moralità (22,8%) generale da un lato e dall’altro occorre far leva sulla competenza (18,5) delle classi dirigenti e sull’innovazione (12,7).

Sul fronte degli interventi da effettuare, per  la grande maggioranza degli italiani, la persona che ci toglierà dalla crisi dovrà occuparsi prima delle famiglie e poi dei conti dello Stato (75%) e tenere conto delle indicazioni delle istituzioni internazionali (56%).  Cosa occorre per cambiare il nostro Paese? Per la maggioranza degli intervistati (50,9) la strada da seguire è quella riformista, con interventi graduali e condivisi (35,7) ma anche impopolari (14,6). I più propensi a una via riformista sono gli uomini, gli over 54enni, e i cattolici praticanti. Ma la crisi porta con sé anche atteggiamenti radicali: quasi un terzo del campione (32,%) vede la “rivoluzione” come unico mezzo per trasformare l’Italia (la pensa così il 32 % del campione). 

Il lavoro sarà primo segnale della ripresa. Per gli italiani i segnali più evidenti che il Paese starà uscendo dalla crisi saranno l’aumento dei posti di lavoro (26,3%) e la conseguente ripresa dei consumi (19,8%). Opinione questa condivisa in maniera trasversale da tutta le fasce di popolazione intervistate. La crisi finirà entro 3 anni. Per il presidente delle Acli, Andrea Olivero, «il Paese ha bisogno di ripartire ricostruendo il rapporto di fiducia con i cittadini e rianimando il sentimento di speranza, offrendo un modello e un progetto credibile di sviluppo. Il risanamento dei conti non basta. Gli italiani mostrano di aver ben chiare le priorità: lavoro, giustizia e onestà. La strada da percorrere è quella delle riforme, per cambiare in meglio questo Paese, senza lasciare altro pericoloso spazio ad astensionismo e antipolitica».      

Francesco Anfossi
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Postato da folgore il 03/05/2012 14:27

Lei dice un "O forse addirittura una “rivoluzione”.". Si rende conto di cosa porterebbe questa "rivoluzione"? Forse ad una secessione violenta o anche ad un'altra guerra civile come quelle avvenute tra il 1943 ed il 1945 o tra il 1945 e il 1948.

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